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coscienza sprovvista di grazie e di sussidi spirituali, fa il diavolo, cioè il suo mestiere. Glielo diceva anche fra’ Gioachino, l’ultimo frate converso che egli aveva conosciuto da ragazzo nell’abbazia di Chiaravalle, sopravvissuto vecchio e solo nel convento come un’ombra dopo la soppressione dell’ordine.
Era un bel vecchio con una barba lunga, bianca, la testa rasa e lucida, che sapeva cento storie di miracoli e contava volentieri le burle che il diavolo soleva fare ai santi eremiti del deserto.
Anche fra’ Gioachino soleva dire:
— Chi tiene i catenacci irrugginiti non faccia conto neppure della porta.
Forse per questo egli pativa da qualche tempo in qua le più stravaganti suggestioni, e sentiva gridi e schiamazzi nella coscienza, proprio come quando la volpe entra nel pollaio. Dimani mattina avrebbe lasciato Naldo in custodia di Giovann de l’Orghen, e prima dell’alba sarebbe andato a Sant’Antonio, in cerca di don Giuseppe Biassonni, un vecchio prete un po’ rustico che raspava la coscienza come un paiolo, ma dava una salutare energia allo spirito. E fece così. Disse tutto al prete lo stato dell’animo suo, contò le tentazioni, provando il piacere di chi si toglie d’addosso una camicia sporca e se ne mette una di bucato.