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48 un condottiero francese a napoli

buona volontà» delle truppe che egli comandava. Par quasi che egli voglia riversare su chi ne è meritevole la lode tributatagli dal Colletta nel riferire quei fatti — e tanto più dispiace che il Botta li abbia narrati come una serie di disastri. Più giusto è il Marulli quando osserva, non senza una punta d’ironia, che il Damas era «predestinato alle ritirate»; ma ancora più grande è la malinconica ironia dello stesso condottiero, quando scrive: «Io ho gran pratica delle nazioni sconfitte, e siccome non ero nato per questo, soffro crudelmente di tale regime. Se le disaccortezze, le goffaggini, le sciocchezze non avessero nessuna parte nelle disgrazie, farei di necessità virtù; ma veder sempre le vittime sacrificate dalle loro proprie buaggini rende impossibile la stessa pietà.» E questo egli non lo dice più a proposito delle sconfitte napolitane, ma delle austriache!...

Della sua nobiltà d’animo è da addurre un’altra prova. Nelle trattative dell’armistizio che preannunziò la pace di Firenze, il comandante repubblicano — Gioacchino Murat — pretese che il Re di Napoli licenziasse il suo ministro Acton. Ma il Damas, quantunque avesse poca ragione di lodarsi di costui, ricusò di ascoltare ogni altra condizione finchè quella non fosse ritirata: «Rigettai formalmente un articolo che offendeva direttamente la persona del Re; osservai che la scelta dei ministri, deposita-