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Pagina:De Roberto - La Duchessa di Leyra (di Giovanni Verga), 1922.djvu/10

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410 la lettura

in paese, e s’annoiavano a farla da spettatrici – e da testimoni anche! – La Rio, la Villanis, la principessa d’Alce, la Solarino di Sammarco – tant’altre mai – tutte che la storia patria la conoscevano, e di Pippo Franci sapevano vita e miracoli – miracoli no, anzi!

— Oh, marchesa! Oh!...

— Eh, caro mio, lo sanno tutti. Da che mondo venite voi? E in primis non state a sentire quello che diciamo tra noi donne.

Lascari si ostinò a difendere l’amico Franci per pura cavalleria – ed anche perchè aveva dovuto assisterlo in un certo affare, lui e Sciamarra lì presente – un affare gravissimo e gelosissimo, di cui si era parlato al Casino per una settimana, in gran segreto... – Ma sì, che lo sappiamo! – Ma no, che non sapete nulla, cara marchesa. Non ci si taglia la gola fra gentiluomini, per quella che sapete voi... – La principessa d’Alce sussurrò infatti il nome dell’eroina vera dello scandalo all’orecchio di donna Fernanda, la quale fissò il bel Guardia socchiudendo gli occhi – come l’assaporasse. – Sì – confermò la Solarino. Aveva perduto la testa, povera Nina! suo marito stava per fare uno sproposito.

Tutti gli occhi si volsero allora sul gentiluomo di Camera che se ne stava a testa alta fra i suoi pari, fasciato e decorato, faccia a faccia con Pippo Franci, in parata anche lui.

— Però la gola non se l’è tagliata nessuno!

— Eh, se non fosse stato per la polizia!...

— Ah, la polizia!... Sentite, voialtri?...

La Limido era più inebriante dell’odore della polvere, con quel sorriso che le arrovesciava in su il labbro color di rosa, e gli occhi proprio due stelle maliziose. — Poi lo sfarfallio di tutte quelle bellezze — le fanfare belliche — la pompa marziale — i giovanotti si accaloravano sempre più a discuter d’armi e di cavalleria, sotto agli occhi medesimi del sig. Ministro di Polizia che sorrideva indulgente, a tu per tu con Sciamarra, il quale ascoltava serio chiuso fino al collo nel soprabito verdone, col castoro buttato all’indietro e facendo la faccia sciocca di spadaccino consumato.

Ma in quella si vide un fuggi fuggi per la Marina, e naturalmente nacque anche un po’ di scompiglio fra i personaggi ch’erano ad attendere S. M. il Re (D. G.) e non si sapeva che diavoleria potesse nascere. Fortuna apparve di lì a poco in fondo alla scalinata il faccione rosso di don Cosimo il brigadiere che rassicurò ognuno:

— Niente, Eccellenza. Ubbriachi.

Le Guardie d’Onore stettero ferme come rocche in quel frangente, tanto che Sua Eccellenza li felicitò con un cenno del capo, mentre sventolava il fazzolettino bianco per invitare a gridare — Viva il Re!

La Real Flottiglia avvolta come un Sinai in un nembo di lampi e tuoni sputava fuoco e fiamme sul popolaccio addensato alla Marina: e come taceva il fragore delle artiglierie, giungeva pure a ondate dalla Cristina il suono grave e lento dell’inno borbonico, su cui palpitava la gran gala di bandiere, al sole — un bel sole di luglio che luccicava sui vetri delle cupole e sulla distesa azzurra da Capo Catalfano a Monte Pellegrino. I capelli biondi della Duchessa di Leyra erano tutti d’oro ed ella tutta rosea sotto il padiglione di velluto cremisi e gli occhi di Pippo Franci che le dicevano tante cose.

— M’ama? — Non m’ama? — Ah, no! — disse forte la Rio, mentre le altre motteggiavano piano. — Ah no, io non mi diverto qui. È un’ora che si fanno aspettare...

Sua Eccellenza si voltò ad ammonirla graziosamente. — Anche lei, donna Fernanda? — Altri dicevano: — Vengono. Vengono! — . E tratto tratto la folla dei magnati agitavasi, ondeggiava essa pure come la marmaglia lì sotto. Ma non giungeva nessuna persona di qualità ormai. Qualche modesto legno da nolo che fermavasi dietro il cordone militare, qualche funzionario in ritardo che salutava umilmente tutti, e infine, lemme lemme, a braccetto con l’inseparabile Sarino Rio, don Guglielmo Larocca, il quale dovette leticare anche con le guardie che non volevano lasciarlo passare.

— Eh, io non cerco di meglio, amici cari. Se non volete io me ne torno a letto volentieri.

Le dame invece se lo rubavano, perchè era cattivo come un asino rosso — una lingua d’inferno — impertinente poi! Ed anche perchè era nelle migliori grazie di donna Fernanda Rio, come lo era stato, un tempo, della famosa Sammarco, e perfino, dicevasi, di una testa coronata, che gli aveva lasciato in ricordo una bella Ricevitoria. — Oh voi! Oh, Larocca! — Egli grugnì un buongiorno a tutti, s’inchinò a baciare il guanto della sua bella amica, e borbottò:

— Un altro po’ mi pigliavo le coltellate anch’io. S’ammazzano laggiù: il vostro cocchiere, credo, con quello della Leyra.

— Bravo. E me lo dite così?

— Come volete che ve lo dica? Già non vi metterete a piangere per il vostro cocchiere.

— E mio marito?