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Pagina:De Roberto - La Duchessa di Leyra (di Giovanni Verga), 1922.djvu/9

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la duchessa di leyra 409

formi scintillanti di Chiavi d’Oro e staffieri gallonati che dondolavano gravemente, reggendosi alle cinghie, dietro i carrozzoni delle Dame di Corte. La berlina di gala della duchessa di Leyra s’imbattè appunto nell’equipaggio di casa Rio all’uscire di Porta Felice, proprio faccia a faccia, le bestie superbe che si mettevano quasi le gambe addosso, e le due rivali che si salutavano per forza, all’urto dell’improvvisa fermata. Donna Fernanda Rio squadrò dalla testa ai piedi l’insolente che osava prendere il passo su di una Santapaola di Pietrapizzuta. – Casa di Leyra! – Tocca a me ch’ero primo in fila! – Accorse anche don Cosimo Teridi. Campagna di casa Verga - Entrata.
(Fotografia di Giovanni Verga)
il brigadiere vociando e sbracciando quando i due cocchieri stavano già per alzare la frusta. Ma don Leopoldo, fiero dello stemma dei Leyra su cui troneggiava un serpe, diede una vigorosa strappata di redini e passò come un Dio. Donna Fernanda Rio scese allo sbarcatoio verde dalla bile. Però era signora nata, lei, e sapeva come starci in mezzo alle sue pari, amiche e parenti, tutte che le facevano festa e se la ridevano sotto il naso.

— Cara!... Bella mia!... – Bella, ormai, ahimè!... Ma aveva un amore di paglia di Firenze che sembrava chiuderle in una carezza il visetto emaciato e fine, e una grand’aria signorile in quelle quattr’ossa vestite da Madama Martin. Poi il casato da cui usciva, la fama stessa dei suoi capricci, e quegli occhi indiavolati che vi piantava in faccia – sempre giovani. Grazie a Dio aveva del sangue nelle vene e più di un’avola discesa dai regi talami. S. E. il Signor Duca di Laurino in persona corse subito a complimentarla: – Oh, donna Fernanda! Temevo di non vederla arrivare a tempo. Le loro Maestà sbarcheranno a momenti. – Ella rispose con un ghignetto, in cui luccicò la punta del dente indorato: – C’era tanta gente per le strade! Tanti «villani»!

La «villana» era lì, a due passi, bella come un fiore, colle insegne di Dama di Corte e le rosse narici frementi di sdegno; talchè l’Intendente, uomo navigato, s’affrettò subito a virare di bordo.

— Certo, certo... l’entusiasmo è sentito... generale...

Ad ogni colpo di cannone infatti la marmaglia, laggiù, tumultuava impaziente e buttavasi fin sotto i cavalli dei gendarmi per accostarsi al padiglione ornato come un trono e brulicante di splendori. L’odore della polvere dava una specie d’ebbrezza, e le signore, un po’ pallide anche per l’ora mattutina, sbirciavano sorridenti i bei giovani della Guardia d’Onore che mandavano lampi da ogni bottone.

Il più bello, in quell’assisa, era senza dubbio Pippo Franci, tutto luccicante di tracolle e svolazzante di penne di cappone – «una rivelazione» anche per le ammiratrici che aveva da semplice borghese. S’era vero che filavano il perfetto amore colla Duchessa di Leyra e al teatro Carolino e alla trottata del Foro Borbonico, certo quella fu la volta... Donna Citta Villanis ammiccò alle amiche intorno con un sorriso malizioso mentre la Duchessa andava a prendere il posto che le spettava, in prima fila, al braccio di Sua Eccellenza, inchinata di qua e di là, più rossa delle fucsie che aveva sul cappellino – e passando dinanzi al bel Guardia che presentava l’arma gli scoccò un’occhiata che quasi gli faceva scappar di mano lo squadrone.

— Ehi?... Che fate, perdi...ana! – strillò Sua Eccellenza scansandosi a mala pena.

– Ma nulla non fa, povero Franci! – disse forte la Limido in un certo tono, con quella bocca di serafino, che tutte le altre scoppiarono a ridere. Poichè le dame rimaste in seconda fila erano pure delle prime