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Pagina:De Roberto - La Duchessa di Leyra (di Giovanni Verga), 1922.djvu/7

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la duchessa di leyra 407


Maggiordomi ed i Cavalieri di Compagnia de’ Reali Principi non potevano essere de’ Gentiluomini di Camera con Esercizio, si bane de’ Maggiordomi di Settimana. Le Dame di Onore delle Real Principesse venivano elette fra le Dame della Real Corte, e raramente si è vista qualche Dama di Campagnia non Dama della Real Carte, ma sempre con nomina della Regina.

Il Memorandum volgeva alla conclusione senza che il Verga vi trovasse un paragrafo da poter giustificare la nomina a Dama di Corte d’una signora uscita, come Isabella, da famiglia triviale. Ma quando sta va per porre termine alle sue spiegazioni, l’autore scriveva:

Tutte le nomine erano ad arbitrio del Sovrano, e pare che così debbasi intendere anche per le Delegazioni.

Tanto bastava. Se la volontà del Re faceva legge, egli poteva conferire qualunque dignità alla prima venuta, nonchè alla duchessa di Leyra. Ma prima che il favore regale la distinguesse, Isabella doveva pure essere stata ammessa a Corte: in che modo? Premendo al Verga di saperlo, la gran signora palermitana alla quale egli si era rivolto, e per mezzo della quale aveva ottenuto il Memorandum, insisteva presso l’estensore di quel documento, e ne riceveva una risposta che il romanziere ricopiava di proprio pugno a tergo dello stesso Memorandum:

In esso confido che il suo amico possa trovar notizie importanti pel lavoro storico che intende pubblicere. In quanto alle Dame della R. Corte ho detto abbastanza. Ma poiché Ella mi interroga intorno alla maniera con cui le Dame d’allora si procuravano l'onore di essere ammese alla Reggia, debbo aggiungere un’altra notizia indispensabile alla piena cognizione della cosa. I componenti anche delle nostre famiglie, e non ancora di Corte, in seguito a dimanda venivano nominati Cav.ri di Città, e potevano esser compresi anche nella medesima categoria nobile di una nobiltà secondaria. Le Dame non Dame di Corte, ma mogli di componenti della Camera, e le mogli del Cavalieri di Città erano nominate Dame di Città, purché avessoro qualche grado di nobiltà. I Cavalieri e le Dame di Città intervenivano al baciamano una volta l’anno nella giornata della nascita del Re: i Cav.ri il mattino in abito di spada con tutta la Corte, Corpo diplomatico e i funzionari dello Stato. Le Dame di Città allo speciale baciamano che si teneva nell’appartamento di etichetta dalla Regina prima di andare al teatro di gala. In siffato baciamano una volta l'anno non vi era trono come il mattino, ma i Sovrani sedevano sopra due sedie dorate sopra uno strato di velluto circondati da tutta la Corte. Le Dame di Città venivano in fila, e l’una aggiustava il manto dell’altra a terra...

Particolari di questo genere, direttamente osservati dal testimonio oculare, erano preziosi per l’artista, il quale ne aveva chiesto anche intorno alla persona del Re, destinato ad apparire più volte nel corso del romanzo. Ma qui il cortese e sapiente informatore, lasciandosi prendere la mano dai sentimenti di reverenza e di ammirazione portati al suo sovrano, non tracció lo schizzo animato che il Verga si riprometteva per poter disegnare la figura del monarca borbonico, ma ne tessè una specie di panegirico. Una delle ultime istantanee di Giovanni Verga, a Roma, con la famiglia di Mario Puccini.
(2 gennaio 1921)
Null’altro potendo più apprendere per questa via, lo storiografo dei Vinti si rifece da altre parti. Il Regno delle Due Sicile era, come diceva la sua stessa denominazione, duplice, e Palermo aveva caratteri dissimili da quelli di Napoli; ma poichè il Re era uno solo, le due Corti dovevano pure rassomigliarsi nella loro stessa diversità. Quindi il romanziere in cerca di documenti raccolse e serbò gli articoli che, col titolo di Tra il vecchio e il nuovo, uno scrittore nascosto sotto il pseudonimo di Frater veniva pubblicando sul Don Marzio. Quello dove erano descritte le feste del 12 gennaio, compleanno di Ferdinando II, aveva un sommario particolarmente interessante:

Il 12 gennaio al tempo dei tempi — L’ultima gala di Ferdinando II. — Il baciamano — Fuori la reggia e dentro la medesima — I quattro cheffi e il cheffino — Corpi ed ombre del mondo che fu — La gala al San Carlo — Il granatiere immobile, I titò, i tiramole e il resto.

I cheffi erano i Capi di Corte, gli chefs, parola straniera pronunziata all’italiana, con la quale si designavano il Maggiordomo maggiore, il Cerimoniere ed il Cavallerizzo anch’essi maggiori, e il Capitano delle Guardie del corpo; il cheffino era un Capo di second’ordine nella gerarchia di Corte, ma appartenente tuttavia alla primissima nobiltà.