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storia d’un’anima 95

vergogna all’idea che il padre potesse leggere in quel suo giornale:

«Il babbo non sa che la sera, prima di andare a letto, io mi metto di tanto in tanto a scrivere in questo libro. Ieri è venuta giù una gran pioggia alle undici, quando egli credeva che fossi addormentata: sapendo che ero ancora desta mi ha domandato se mi sentivo male. L’ho tosto rassicurato; ma non ho soggiunto che mi sentivo tanto bene da restar levata per poter scrivere in questo libro. È male che io mi nasconda dal babbo. Certe volte mi propongo di confidarmi a lui, di dargli da leggere ciò che scrivo. Non sono le stesse cose che gli dico a voce, ogni giorno? Ma non so: ho vergogna e quasi paura. Talvolta mi pare anche di far male a scrivere qui. Camilla Sergondi mi fece venire la prima volta quest’idea, di scrivere la nostra vita, al collegio; ma non cominciammo mai. Però, tutte le sere, ringraziando il Signore della giornata trascorsa felicemente, io ripensavo alle cose accadute, a ciò che avevo fatto, che avevo detto, che avevo pensato; quanto a scrivere, non sapevo da che parte rifarmi, perchè tutti i giorni erano gli stessi; allora aspettai d’essere a casa: e così ho cominciato. Ora me ne pento perchè non so confidarmene al babbo. E poi, qualche volta, come ora, mi pare inutile scrivere queste cose: le cose che penso sempre non hanno bisogno d’essere scritte; certe altre non le so scri-