quattro anni la vita
necessariamente dissipata dello scapolo senza sentire più presto il
bisogno d’un affetto legittimo, si riducesse durabilmente a quella del
marito esemplare e s’appagasse dell’ingenuo amore della giovinetta era
forse naturalissimo? Ed era innaturale ed inammissibile che la sposa
amante ignara del mondo circoscrivesse tutta la gioia nel suo nuovo
stato? I particolari del dramma sfuggivano al Ferpierre, ma egli li
ricostruiva con l’imaginazione. Un’altra donna, una donna tutta diversa
dalla contessa, molto esperta, senza scrupoli, aveva sedotto Luigi
d’Arda: egli aveva tentato di resistere persuaso dell’infamia che
avrebbe commessa tradendo la giovanetta, dandole l’esempio del male,
egli cui non solo il dovere ma anche l’interesse consigliavano di
seguire la rigida via dapprima tracciatasi; ma la tentazione aveva
dovuto vincerlo. Che cosa bisognava pensare del sospetto della
contessa, che egli si fosse data la morte? L’anima alta di lei
attribuiva allo sposo la volontà di castigarsi se era stato incapace di
evitare l’errore? Oppure l’imaginazione romanzesca della donna vedeva un
suicidio dove non c’era altro che un disgraziato accidente? Mistero nel
mistero; ma questo doveva restare impenetrabile, se oramai il suggello
della morte aveva chiuso le labbra dei due attori del dramma. La
tentatrice sola, se viveva, avrebbe potuto rischiararlo; ma che,
soccombente mal suo grado alla colpa, il conte avesse