Pagina:De Roberto - Spasimo.djvu/271

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la lettera 259

quella di un’eroica salvatrice, ma d’una rea confessa? Che cosa vietava di crederla rea veramente? Era possibile che ella avesse con tanta abilità ricostruito e colorito una falsa soluzione del dramma e che avesse saputo narrare un cumulo di menzogne con voce tanto turbata, con espressione tanto sincera?

Allora il Ferpierre tornava a misurare le probabilità, a vagliare le presunzioni, a rifare il lavoro di tutti quei giorni, arrestandosi ora all’una ora all’altra ipotesi, riconoscendo ancora una volta l’inestricabile difficoltà del caso.

Doveva egli proprio rinunziare a indagini ulteriori? La speranza d’avere una prova inoppugnabile era proprio perduta? E come concludere la sua lunga e vana istruttoria? Bisognava proprio accettare le ultime dichiarazioni degl’imputati? O negarle, e riaffermare che la contessa si era uccisa, e che la Natzichev s’incolpava soltanto per la paura di veder condannato il principe, pure essendo innocente quanto lui, e che per questa ragione le loro versioni non erano state concordi?... O tornare all’ipotesi, già esclusa come la più improbabile, che fossero colpevoli entrambi, che la Natzichev avesse aiutato l’amante a compiere l’assassinio per furto, e tentato poi di scagionarlo per accusare sè stessa?

Ciascuna conclusione ripugnava al magistrato, ma bisognava pure accoglierne qualcuna, e già egli