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spasimo 291

dentro di me, nella lunga notte della mia mente, già l’alba d’un nuovo giorno spuntava. Alessandra credeva di vegliare su me perchè mi restava vicina, perchè mi parlava. Non la vedevo: non l’udivo: una muta e invisibile anima governava ormai la mia vita...»

S’interruppe un momento alzando gli occhi al cielo della sera. Il cielo si era placato, le vampe gialle erano scomparse; colorazioni rosee e verdi, purissime, schiarivano l’occidente.

Egli riprese:

— Il rancore, l’odio, l’invidia, la cupidigia, tutte le insanie delle quali ero vissuto m’apparvero finalmente nella loro fosca luce. Il sangue che avevo fatto spargere non mi aveva detto ancora nulla; bisognava che io stesso spargessi il sangue d’una vittima, d’una martire, per comprendere la legge d’amore. Tutti gl’insegnamenti di lei, un tempo sdegnati e derisi, mi tornarono alla memoria. La semente che pareva perduta fruttificò. Credete che ella sia morta?

La voce del penitente era così dolce, che Roberto Vérod sentì il suo cuore tremare.

— Ella vive in tutte le cose belle, in tutte le cose buone; parla ancora in noi, e ci consiglia. Ella m’ha detto di venire da voi. Voi che l’amaste, che ne otteneste l’amore, saprete che cosa fare di me.

Aspettò che il Vérod rispondesse, ma come