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vi. «il conte di carmagnola» 185

individualità, un risultato psicologico interessantissimo, una vita piena, ricca, che si svolge fatalmente, necessariamente fino alla catastrofe, sviluppata in tutte le sue fasi. E insieme con essa, come parte di questa totalità, la vita italiana di quel tempo. E allora quel Coro invece di comparire in mezzo alla tragedia a proposito d’una battaglia che è un accessorio, quel Coro che non ha nulla che fare con la battaglia, e lì rimane sconnesso dal resto; che effetto immenso produrrebbe, anche nella rappresentazione in teatro!

E tutto ciò, dopo tre secoli, innanzi un popolo che per conseguenza di quella vita è stato servo or di questo or di quello straniero, di Tedeschi, di Spagnuoli, di Francesi. Se il poeta avesse fatto sentire in tutta la tragedia questa intonazione della vita italiana, come in quel

      Tu che angusta a’ tuoi figli parevi,
Tu che in pace nutrirli non sai;

detto a un popolo anelante a nuovi destini, quel Coro produrrebbe un effetto straordinario: invece rimane un incidente. E si comprende perché la tragedia sia stata messa da parte, perché ciò che è rimasto ancora vivo nel paese sia il Coro, che il paese ha staccato dalla tragedia.

Ma qui Manzoni esce fuori della drammatica e va nella lirica. In lui manca il sentimento del dramma, del conflitto, della «collisione»; ma mettendo le mani a questo Coro, il suo orecchio pare senta una nuova musica, il suo genio si risveglia, una nuova lirica gli si presenta, perché la sua potenza è lirica. Trovandosi innanzi questa nuova espressione lirica, trova una corda finora non toccata. C’è pure il sentimento religioso, il sentimento della fratellanza universale, come in quel

      Tutti fatti a sembianza d’un Solo,
Figli tutti d’un solo riscatto;

ma c’è qualche cosa di nuovo, ed è il sentimento nazionale. Come questo gli sia sorto innanzi, vedremo nell’altra lezione.


        [Ne La Libertà, 13-15 marzo 1872].