Pagina:De Sanctis, Francesco – Alessandro Manzoni, 1962 – BEIC 1798377.djvu/407

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nota 401

non era né il poeta dell’entusiasmo, né il poeta del disinganno. E dicemmo che non l’era, perché l’ideale che si presenta a lui non è l’ideale giovane non ancor provato nelle disavventure della vita, o l’ideale calato di fresco in essa, e che da essa profanato, si ribella alla realtà. E dicemmo però che l’ideale del Manzoni non era capace né d’illusioni, né di disinganni: osservammo anzi ch’egli oltrepassando questo doppio stadio, guardò la vita nella sua realtà, si rese ragione della contradizione tra l’ideale ed il reale, della quale non si meravigliò, ma che cercò anzi di spiegarla, accompagnandola con quel tale risolino proprio di lui, che significa: «io ti comprendo». Quando fissammo quella forma, ricavammo per primo una tendenza che ha il lavoro del Manzoni.

I poeti idealisti spiritualizzano l’ideale, e vogliono farlo apparire, ma abbozzandolo appena, e mettendo in rilievo le impressioni ed i sentimenti che si sprigionano da esso; mentre Manzoni vuol nasconderlo, e dare a lui apparenza talmente storica, sicché si dica: non ch’esser probabile, questo è avvenuto, è storico. È questo un carattere della forma manzoniana, che distingue il Manzoni dagli scrittori precedenti, i quali, compreso anche il Tasso, non erano che grandi sognatori, grandi rèveurs, come dicono i francesi; e questa tendenza di realizzare l’ideale si manifesta nel modo onde Manzoni dà vita e forma alle sue concezioni. La tendenza contraria fa sí che mentre i poeti idealisti ingrandiscono le proporzioni dell’ideale, che si avvicina così all’indefinito dell’idea, Manzoni l’accosta al finito, al determinato, che noi chiamammo misura dell’ideale.

Ora che abbiamo notata questa tendenza, voi capite un altro passo della forma manzoniana. Volendo egli infatti rendere storico l’ideale, cerca naturalmente nella forma la figura, la plastica.

Le stesse idee, le impressioni si traducono in immagini esterne, ed egli le analizza, le spiega; ed è questa potenza di analisi, congiunta alla sua potenza d’immaginazione che costituiscono [sic] la sua potenza produttiva. E dopo che vi ha dato il plastico, egli vi rende conto del perché la figura sia fatta in quel modo; e tutto ciò ve lo spiega con un sopralavoro: quando di poeta diventa critico, vi dice perché la sua creatura ha quella fisonomia, ha quel carattere, ha quelle passioni. Per meglio comprendere questo concetto, paragonate per poco il Manzoni con gli altri poeti. Se voi osservate i poeti italiani, vedete ch’essi vi danno la figura in blocco, sicché avete l’idea del tutto, e non delle singole parti. Quando Dante dice: «Qual io fui vivo tal son morto», egli vi dà la totalità d’un personaggio, che si presenta vivamente al lettore, il quale colpito da quella totalità, non ha l’agio di analizzarla, ed osservarne le parti. Ond’è che il Farinata vi apparisce come una gigantesca forma piramidale, e l’impressione ch’essa vi produce vi fa sfuggire l’osservazione delle parti. Questo considerare in blocco la figura è della prima poesia, perché oggi siamo troppo

26 — De Sanctis, Manzoni.