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98 | giacomo leopardi |
differenza è in questo, che quelli dietro a questa vanità pongono un’altra vita come vera realtà, e lui ci pone il mistero, religione anche esso, anzi radice di ogni religione. Oltre a ciò, il giovane sentiva profondamente la virtù, la dignità di uomo, l’amore, la bellezza, la gloria, la patria. E tutto questo era Giacomo Leopardi, aggiuntovi un’estrema delicatezza e sensibilità, che gli rendeva più cari, più avidamente desiderati questi sentimenti. Il desiderio non placato dalla speranza, anzi accompagnato con la disperazione, li mantiene vivi e intensi, talora sino al delirio di Saffo. Maledice la vita, perché non può goderla, e la impotenza del suo «implacato desio» è il segreto della sua maledizione.
Invano ora chiama vanità la vita, e illusioni la virtù, la gloria, l’amore. Questa teoria dovrebbe tirarlo al suicidio, o alla misantropia, o alla compiuta indifferenza innanzi a ogni ordine morale. E queste conseguenze appariscono qua e là nella sua vita e nel suo spirito, come semplici velleità. Ma la sua natura è più forte della sua teoria, e resiste, e nasce un dramma interno del più alto interesse, una lotta tra la sua natura e il «vero»; la quale in una sfera più elevata si risolve nella lotta tra il fato «indegno» e l’individuo. Malgrado il colore greco di questa lotta, essa è tutta moderna nella sua sostanza, ed ha le sue radici profonde nell’anima dell’uomo che ne è il martire. Talora la natura benefica gli ritorna il sapore della vita e la facoltà di amare, gli ritorna i fantasmi e i sogni della giovinezza e, com’egli dice, fanciullezza, e il redivivo fanciullo canta il suo risorgimento, canta la patria e l’amore e la gloria e la virtù. Tal’altra rimane come schiacciato sotto il Fato, pur maledicendolo e pur resistendo. Dalla qual diversa disposizione dello spirito nasce diversità di disegno, di colore e di accento. Ma, vinca o l’una o l’altra di queste forze, rado è che stieno scompagnate, e nel maggiore entusiasmo della vita penetra la morte come un tarlo che la rode; e quando l’anima è più oscura, vi brilla un raggio di luce. E questo naturalmente, non come concepimento estetico dell’intelletto, ma come un fatto quasi inconsciente del suo spirito in questa o quella disposizione.