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306 | giacomo leopardi |
sere un monumento innalzato a Dante con la penna, come a Firenze glielo innalzavano con la pietra. Ma Dante rimane un pretesto, e la canzone è il suono affievolito dell’antecedente, un ritorno dello stesso contenuto negativo e degli stessi fatti e pensieri.
Nella terza canzone il contenuto diviene positivo. La scoperta di Angelo Mai appare come la risurrezione dei nostri maggiori, in suono di rimprovero o di esortazioni in tanta nostra corruzione. Quindi il concetto è un’antitesi tra l’Italia passata da Dante a noi, l’Italia quale la lasciò il Petrarca, ed il presente. La prima è rappresentata in una specie di Pantheon, nel quale comparisce una serie di grandi uomini. Ma ciascuna apparizione provoca nel poeta un ritorno al presente; e qui comparisce la prima volta un contenuto originale, il presentimento del mondo leopardiano. Lo stato presente è la morte della poesia, lo sparire di tutti quegli ideali che sono lo scopo della vita, e di tutte quelle finzioni sostituite alla scienza che abbellivano il mondo. Quell’ideale e quel reale è sparito; sparito il mondo pagano; sparito il mondo cavalleresco, e non vi è succeduto nulla. Rimane per l’anima il vuoto, e quindi la noia, che è il sentimento di questo vuoto. Questo concetto viene analizzato in antitesi col passato. Dante e Petrarca furono i poeti del dolore; ed il dolore è men tristo della noia. Colombo ingrandì il mondo in apparenza, ma in effetti lo rimpiccolì, togliendolo all’illimitato dell’immaginazione. A Ludovico Ariosto si trova in opposizione la fine del mondo cavalleresco. E già questo vuoto della vita penetra nell’anima di Torquato; eppure a quel mondo che parve sì prosaico al Tasso, il poeta contrappone il presente assai peggiorato, dove non si troverebbe chi gli apprestasse il lauro. In Alfieri, mancata la poesia dell’azione, rimane la poesia della parola, una lotta contro il presente, nella quale resta solo.
Questo contenuto non è ancora intero, non ha ancora contorni, fluttua nella mente del poeta senza aver trovato un punto d’appoggio. Non è ancora calato nell’anima; il poeta lo rappresenta come spettatore, non come vittima. Non è ancora realizzato; rimane nella sua generalità filosofica. Né ancora il poeta