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impressioni politiche 105

vedono furberia in ciò che è vanità o inabilità. Per non impiccolire Thiers, il mio beniamino, io lo creava un furbo di tre cotte. Pure dentro di me era sminuito il suo prestigio. Quella sua caduta precipitosa senza lasciare dietro di sé che velleità e rumore, mi aveva guastato l’idolo. Mi s’ingraziò un poco nell’ultima lotta, quando vidi la mala fede dei suoi avversari, che volevano per forza fare di lui la personificazione della guerra, con quelle solite formole alla francese: Thiers c’est la guerre, et Guizot c’est la paix. Questi assolutismi non mi entrarono. Ci vedevo una soverchieria contro quel povero Thiers. Guizot poi mi divenne addirittura odioso. — Che uomo! — gridavo io, gestendo forte. — Thiers lo invia ambasciatore «a Londra, e costui cospira contro il suo ministro e viene nella Camera a combatterlo! Ben fece Berryer ad accopparlo.

Io era mobile e appassionato nei miei giudizi, molto impressionabile, trasportato dalle varie correnti, con una gran dose di bontà e d’ingenuità. M’incalorivo molto per le cose di Francia, e non avevo orecchi né occhi per le cose nostre; anzi Napoli era per me il migliore dei mondi, perché Napoli era la mia scuola, e nella scuola mi sentivo appagato e felice. Del resto, questa era allora la corrente. La gioventù mossa da un sentimento letterario si appassionava molto per quella grande eloquenza della tribuna francese e, sfogatasi ben bene nei caffè a chiacchiere e a gesti, non cercava altro. E la polizia lasciava fare.

In mezzo alle mie dispute politiche e alle mie lezioni mi colse come strale una triste notizia: zio Carlo, colpito da un secondo accidente apoplettico, moriva. Mi rimproverai allora quella non so quale freddezza che gli avevo mostrata. Avrei voluto essere lí, a piè del suo letto, e chiedergli perdono. Ricordavo la sua bontà per me, ch’ero stato sempre il suo prediletto. Nel suo testamento lasciò tutto ai cugini, ciò che mi parve la conseguenza inevitabile di molte promesse, e non mi sorprese. «Ma se egli aveva a dolersi di mio padre, che colpa ci hanno i figli?», pensavo io. Anche a zio Peppe spiacque la cosa, e fece un controtestamento, nel quale lasciò tutto a mio padre, per equilibrare, diceva lui. Questi fatti avevano generato mali umori, e il povero