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camillo de meis e la mia scuola 137

Ciascun uomo ha il suo ritornello. E il mio ritornello era il disprezzo del luogo comune e il disprezzo del plebeo. Il maggior dispiacere che potesse avere un giovane era il sentirsi a dire di qualche suo lavoro: — L’è un luogo comune — . Ed era una trafittura quando si sentiva dire: — I sentimenti sono plebei — . Questo dava una impronta singolare alla scuola. Si abborriva dal mediocre; si mirava alla eccellenza. Io era incontentabile; solevo dire: — Mi contento per ora — , mostrando loro un più alto segno. Dicevo che il vero ingegno non s’acqueta mai, e poggia sempre più alto. Questo teneva in moto continuo l’intelletto, e lo sforzava a cose nuove. Qualcuno mi osservò che ponevo la mira troppo alta, ove non arrivavano che i pochi; ma non c’era verso, l’impulso era dato. Dotato di molta pazienza, mosso da un gran desiderio del bene, tentai un corso speciale per i meno provetti, ritornando alle cose grammaticali, e dettandone un sunto. Ma se ne cavò poco frutto. Ciascuno mirava là dove splendevano gli astri maggiori, e avveniva che talora in lavori a grandi pretensioni si notavano scorrezioni grossolane, anche sgrammaticature. Se però il profitto non era uguale, il buono indirizzo giovava a tutti, stimolando le forze dello spirito.

Quello che volevo nello scrivere, volevo anche nella vita. Dicevo che lo scrittore dee concordare con l’uomo, e perciò anche nell’uomo volevo il disprezzo del comune e del plebeo. Ciò io chiamavo dignità personale. In questa parola compendiavo tutta la moralità, e dicevo che la dignità era la chiave della vita. Contravveniva alla dignità la menzogna, ch’io perseguitava così nello scrivere come nell’azione. — La menzogna nello scrivere, — dicevo, — è roba da retori e da pedanti — . Ero così inflessibile, che dannavo non solo gli ornamenti e i ricami, che chiamavo il belletto e il rossetto dello scrivere, ma anche le frasi convenzionali e usuali di una ostentata benevolenza. Parimenti inflessibile ero nella vita, e dicevo che la menzogna era la negazione della propria personalità, un atto di vigliaccheria. Con lo stesso zelo flagellavo ogni atto basso e volgare, come la cortigianeria, la ciarlataneria, l’intrigo, la violenza, la superbia. Di-