Pagina:De Sanctis, Francesco – La giovinezza e studi hegeliani, 1962 – BEIC 1802792.djvu/77

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casi fortunati 71

sticamente con tutti, coi contadini, coi giovani; anzi, aveva una certa inclinazione a fare lo scapolo, il giovinotto. La sua immaginazione ridente lo tirava a ingrandire e indorare gli oggetti, ed era un ottimo istrumento della sua vanità non piccola. Idolo dei fanciulli, che gli correvano appresso e lo chiamavano zio Alessandro, egli faceva con loro molti giuochi, come la testa del morto, le candele funebri, le ombre, e li divertiva e si divertiva. Non è dunque meraviglia che, con questa uguaglianza di umore, si sia lasciato ire sino a ottantasei anni, allegro e rubicondo. Dopo pochi dí prendemmo confidenza, e ce lo menavamo a braccetto per Napoli. Raccontava con molto sale le più strane storielle della sua gioventù, e faceva rider» la gente, non me, poco disposto al riso e sdegnoso di quel genere di discorsi. Un giorno ebbe un invito a pranzo dal marchese Puoti. Egli ne andò in sollucchero, e scrisse a zio Peppe: «Non vi dico nulla dell’invito marchesiano. Ah! Peppe, fidiamo nella stella di Ciccillo e preghiamo Iddio che niente arresti i suoi passi».

A Morra s’era in una certa apprensione intorno al mio stato. A forza di vivere fra quella gente, papà s’era fatto un cervello morrese, voglio dire che vedeva il mondo attraverso di Morra. Spesso diceva: — Bisogna mostrare a Morra— ; ovvero: — Cosa dirà Morra? — Appena giunto, empi tutto il paese di mia grandezza, e raccontò che m’ero già messo in sofà e poltrona, e facevo sonare il borsellino delle mie piastre di argento, a gran consolazione della famiglia, e massime di zio Peppe, che mi voleva bene e credeva a quelle fole. Mi mandarono subito mio fratello Vito, come s’era convenuto. Ma se a Morra ero un ricco, a Napoli ero poco meno che un pitocco. L’affare si faceva serio. I danari che mi parevano inesauribili, talora non bastavano al vitto. Un dí venne Enrico, mentre io stavo a capo chino sopra un Cinonio, ché fin d’allora ero miope. — E come si fa? — interruppe lui, — quattrini non ce n’è, e stamane non si mangia. — Il peggio è, — -diss’io, — la nostra vergogna. Che dirà Annarella? ci piglierà per due straccioni. — A questo c’è rimedio, — rifletté lui. — Diremo che siamo stati invitati a pranzo. Intanto come si fa? — Faremo danari, — diss’io. E mi posi in giro. Che brutta giornata fu