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il collegio militare 77

Imperiale, Augusto e Orecchino. Giunsi lá gioioso, e narrai la mia buona ventura al padre.— Chi è stato il tuo Santo?— mi domandò. Io non capiva. — Il tuo merito è grande, senza dubbio, ma senza Santi non si va avanti — . Io capii e dissi: — Il mio Santo è stato Basilio Puoti.

XV

IL COLLEGIO MILITARE

E IL CAFFÈ DEL GIGANTE

Quando zio Carlo seppe la mia nomina a professore nel Real Collegio Militare, pianse e ricordò ch’egli aveva cominciato la sua carriera professore alla Real Paggeria, dov’era il Collegio di Marina. — E Ciccillo, tomo tomo, fa il suo cammino, — conchiuse. Una certa apparenza d’insensibilità e una certa tensione nei modi mi avevano procacciato in casa quel nome di tomo tomo, e anche di tomo sesto.

A me stesso parve gran cosa quella nomina. Forse c’era quel pensiero del mensile fisso, che trae molti agli uffici di Stato; forse era curiosità, come d’una condizione nuova e ignota. Il fatto è che, quando venne il tempo, poco dormii la notte e, con aria impaziente, giunsi in carrozzella nel Collegio. Trovai al primo corridoio l’aiutante maggiore, un bassotto rugoso, con una cera punto militare, che mi guidò all’ultima camera, a sinistra. Quei ragazzotti si levarono in piè, e io salii alla cattedra posta vicino all’ingresso. — Sedete, — gridò l’aiutante maggiore quando mi fui seduto io, e tutti fecero come un sol tonfo, con un rumore eguale. L’aiutante mi fece il saluto militare, e via. Io ero lì, rosso e confuso per la novità, e quelli mi spiavano cambiandosi cenni birichini con l’occhio. Quando cominciai a parlare, essi mormoravano tutti insieme: — Chiosa, chiosa — . Io non capivo, e stavo li tra la stizza e la vergogna, e più ero stizzito io, più loro erano impertinenti, e facevano rumore coi piedi, e sghignazzavano, e si berteggiavano, guardando me. Quell’ora