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v. l’«orlando furioso» i39

stanze più strazianti per Orlando e finisce per dire come si fosse condotta:

A farsi moglie d’un povero fante!


Versi prosaici che sembrano sfuggiti per negligenza, e seno così belli per esprimere una situazione.

Finalmente, il pastore presenta una gemma regalatagli da Angelica, cui era stata regalata da Orlando.

L’animo di Orlando non può più dubitare; è certo d’esser tradito, il suo dolore va crescendo a poco a poco sino alla pazzia. Si mette a piangere. Sta a letto e non può trovar riposo. Quel letto diviene duro come un sasso, pungente come un’ortica: se la piglia col letto. Gli viene un pensiero. Si sono maritati qui, hanno forse consumato il matrimonio in questo letto; sbalza dal letto, si arma e parte.

Eccolo nella campagna. Piange, urla, tutta la notte. Aggiorna, si guarda intorno e si trova innanzi alla grotta. È in uno stato differente dalla prima volta, in uno stato di rabbia e di furore. Ve ne accorgete alle sue parole: — Non verso lacrime: le lacrime hanno una fine; sono i miei spiriti vitali che m’escono per gli occhi. Non traggo sospiri: i sospiri hanno tregua; io non sono Orlando, sono l’ombra di Orlando — . In questi vaniloqui cominciate a vedere un cervello che si sta guastando. Nel vedere la iscrizione, comincia a tirar con la spada sulle pietre, sugli alberi, e finalmente cade a terra, stanco: una prostrazione folle succede ad un impeto di concitazione pazzo. Per tre giorni rimane così: al quarto si alza matto furioso. Tal’è una scena di pazzia, tanto più ammirabile, in quanto che in tutta la poesia precedente non v’era un pazzo; la scena è uscita tutta viva dal suo capo, come Minerva armata dal cervello di Giove.

Dopo averci presentato così Orlando, si spassa a sue spese, ne caricatureggia la forza fisica e l’intelletto.

Il suo primo atto di pazzia è strappar querce come finocchi. Incontra due villani con un asino: gli dicono di farsi da lato: