Pagina:De Sanctis, Francesco – La poesia cavalleresca e scritti vari, 1954 – BEIC 1801106.djvu/180

Da Wikisource.

vi. i continuatori dell’ariosto i75

un romanzo dell’abate Chiari che parecchie monache sono fuggite dal convento: fugge in Ispagna. Ruggiero le corre dietro. Marfisa incontra Filinoro trasformato in un giuocator di bussolotti, che dice male di Marfisa: Marfisa lo bastona. Sopraggiunge Ruggiero, Marfisa diviene divota e fa la monaca di casa; spia, sparla e vive ancora trent’anni.

La concezione è originale e magnifica. La Marfisa è caduta in tale dimenticanza che molti italiani ne ignorano l’esistenza. Ed è degna dell’oblio.

Carlo Gozzi non era mai uscito dal suo piccolo mondo: qualche marchese, qualche letteratuzzo, un caffè: una compagnia comica. La concezione è una montagna. L’esecuzione: Marfisa è una marchesa veneziana, Astolfo è un damerino veneziano: la concezione muore affogata nel suo piccolo spazio. A’ tempi di Gozzi viveva l’abate Chiari, ed erano rivali. Gozzi ha immaginato che il mondo moderno fosse il mondo dell’abate Chiari. Gasparo Gozzi era pieno di volontá ed è riuscito uno de’ piú colti scrittori del tempo. Carlo aveva un ingegno superiore: le sue commedie come concezione sono capolavori: ma non hanno il finito della forma; le sue commedie sono improvvisate e cosí Goldoni inferiore a lui d’ingegno ha lasciato un nome durevole e lui no. La Marfisa è l’abbozzo d’un poema epico. L’esecuzione è rimpicciolita, la forma è nulla.

Questo è l’ultimo poema cavalleresco.