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il concetto della divina commedia 33


gran sonatore? Il pensiero è melodia: nel tempo stesso gli lampeggia dinanzi e gli freme sotto le dita. Che cosa è il pensiero per un grande oratore? Il pensiero è la parola: infiammato, innalzato dal suo uditorio, egli pensa e parla ad un tempo. Che cosa è il pensiero per un gran poeta? Il pensiero è l’immagine: egli non può, egli non dee saper pensare se non per mezzo della sua immaginazione. Giacomo Leopardi si è levato nelle piú alte regioni della metafisica; ma innanzi a quella invitta fantasia l’idea si fa marmo, ed i suoi pensieri si chiamano Consalvo, Silvia, Aspasia e Saffo. Pur quando, affranto dalla sventura, sta tristamente abbandonato in sulle falde del Vesuvio, come la solitaria ginestra che gli sta innanzi, la vita di quel malinconico fiore desta in lui sulla vanitá della vita gli usati pensieri, ma non le usate immagini, e la ginestra rimane unico fiore di poesia nell’ariditá del suo ultimo canto. Di tutti i diletti della vita egli non gustò altro che le arcane gioie dell’arte: anche queste allora gli venivano meno, e la stanca fantasia rimase, mesta contemplatrice, fisa in quel fiore senza poter di quivi spiccare il volo verso le sue consuete altezze.

Non vogliamo dunque cercare nella Divina Commedia né teologia né filosofia né morale: ella è divina non per questo, anzi malgrado questo. Il poeta ha serbata tutta la freschezza della sua fantasia in mezzo all’ariditá della scuola ed alla pedanteria de’ suoi tempi. Il concetto del suo universo non gli si offre innanzi sciolto e puro, come un vero filosofico, ma involto e diffuso, come forza viva, per entro tutta intera la sua creazione: è il sostanziale, il necessario, la stessa essenza della situazione, che si va evolvendo a mano a mano nelle piú svariate forme. Innanzi al poeta non si presentano che fantasmi: è la critica che disviluppa di quivi il concetto e lo pone come principio astratto.

Il principio generativo del mondo cristiano e moderno è, come abbiamo veduto, la consapevolezza e la libertá dello spirito sotto le forme in cui vive, il suo successivo assottigliarsi e scorporarsi e idealizzarsi. Or questo, e non alcun vero particolare, è la sostanza dell’imiverso dantesco, il quale è perciò la

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De Sanctis, Dante.