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Pagina:De Sanctis, Francesco – Lezioni sulla Divina Commedia, 1955 – BEIC 1801853.djvu/438

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432 nota


duto, l’Esposizione critica della Divina Commedia, affermò che trattavasi del primo lavoro compiuto dal nostro a Torino; che lo aveva mondato dalle locuzioni arcaiche, reminiscenze della scuola del Puoti, di cui era ripieno; che da esso furono desunte le lezioni dei corsi torinesi, il capitolo della Storia della letteratura italiana sul poema, i saggi su Ugolino, su Francesca, su Farinata, su Pier della Vigna. Che egli corresse con troppo sbrigliata fantasia a far derivare dallo smilzo lavoretto quanto il De Sanctis meditò e scrisse su Dante, non c’è bisogno di dimostrarlo; basti solo notare per i primi due capitoli: Il subbietto della Divina Commedia e l’Inferno,Inferno, che, nel primo, non si trova alcun accenno alla questione dei rapporti tra l’argomento del poema e le visioni precedenti, e a quella della fusione dei due mondi, il divino e il terreno; e, nel secondo, al problema del brutto, come materia di poesia, e alla natura del comico e delle sue varie forme nei canti di Malebolge: trattazioni tutte che si trovano largamente dibattute nei corsi di Torino.

Ma a me sembra che non si possa neanche ammettere che l’Esposizione sia stato il primo lavoro del De Sanctis nella capitale piemontese, quasi sintesi, nella quale egli cercasse di stringere in unitá tutto il suo pensiero, per varie ragioni.

In primo luogo tra i critici che riposero l’essenza della poesia dantesca nell’allegoria vi si cita il Rosenkranz e lo Schlosser1.

Ora, mentre il De Sanctis conosceva bene l’opera del primo per averne iniziato la traduzione nella prigione di Castel dell’Ovo e averne fatto pubblicare anche a Napoli i due primi volumi col titolo: Manuale di una storia generale della poesia; del secondo, se avesse scritto l’Esposizione sulla fine del i853, o nel i854, non poteva conoscere gli Studi, perché vennero pubblicati, in Germania, nel i855. Nelle lezioni torinesi, infatti, del i854-55 non cita lo Schlosser, e solo nel 1856, a Zurigo, dichiarava di conoscerne l’opera, che criticò severamente, per ribattere il giudizio del Vischer, che ne riteneva indispensabile la conoscenza, perché si potesse intendere Dante2.

In secondo luogo nelle lezioni di Zurigo sul Paradiso, tenute nel semestre estivo del i856-57, giudicava che nei versi: «Ciò che non muore e ciò che può morire» ecc. (52-63) del c. XIII Dante



  1. Appendice, p. 358.
  2. De Sanctis, Lettere dall’esilio citt., p. 59.