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beatrice 63


                                    Dell’esser tuo, dell’arti e delle frodi.
Pur ne’ tuoi contemplando i suoi begli occhi,
Cupido ti seguii finch’ella visse,
Ingannato non giá, ma dal piacere
Di quella dolce somiglianza un lungo
Servaggio ed aspro a tollerar condotto.
               

Guardisi dunque il poeta di accostarsi troppo al reale, la cui presenza può turbare la serenitá e la libertá del suo spirito: piú egli vede da lontano e piú vede bene: meno guarda con l’occhio e piú figura con la fantasia.

Scipione l’Africano si trovò in cento fatti di guerra, e nel caldo e nel tumulto del combattere gli sfuggi sempre tutto ciò che una battaglia ha in sé di poetico. Un giorno, stando in su una collina, mirava calmo spettatore in aspro battagliare Cartaginesi e Numidi, né mai provò in vita sua tanto diletto, né alcuno spettacolo mai lo rapi in tanta ammirazione.

E cosí è: la battaglia è poetica, se la guardi da lontano; la tempesta è sublime, se la contempli dal lido.

Quando Dante sta innanzi a Beatrice, la sua presenza lo turba e lo confonde, e riman trepido e muto e quasi stupido; e le donzelle, che lo veggono cosí impacciato, sogghignano e se la ridono. Ma quando il giovine giunge nella sua solitaria stanza, nella camera delle lacrime, com’egli la chiama; quando l’obbietto lontano dagli occhi lavora sulla sua immaginazione; quando egli, sequestrato da ogni realtá, si raccoglie e si aduna in se stesso; piú il mondo esterno gli si oscura e piú gli si illumina quel di dentro, e vede Beatrice non piú fuori, ma dentro di sé, e la diletta immagine, accarezzata e scaldata dalla fantasia, riesce al di fuori raggiante di tutta la luce interiore, bella di tutta la bellezza di quell’anima che la vagheggia: non è piú la Beatrice di Folco Portinari, è la Beatrice di Dante: la storia è trasfigurata dalla poesia. Il poeta può allorá spiegare e cantare la sua turbazione, anzi allargarla a tutto il genere umano, facendo di tutti gli uomini se stesso e gittandoli in ginocchio innanzi alla sua Beatrice: