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beatrice 65


cosa di soavemente pacato, lontano da quel compresso desiderio e furore di sensi, che scoppia a quando a quando di mezzo a’ concetti platonici di Francesco Petrarca.

Pure questa poesia dantesca cosí calda, cosí ideale ha sempre nella realtá il suo fondamento: principio o antecedente delle sue fantasie è un fatto, come l’incontro di pellegrini, il niego di un saluto, un’occhiata in chiesa e simili; un fatto per sé insignificante e indifferente, ma di un valore infinito per il poeta amante, che vi pensa e vi ripensa lungo tempo e vi fantastica su, infino a che il calore febbrile della fantasia lo conduce a conseguenze lontanissime dalle pregresse, con una logica che fa ridere l’uomo volgare, ma di una profonda veritá, sentita da tutti quelli che hanno un cuore, con una logica che non si può determinare, perché non esce dalle leggi fatali dell’intelligenza, ma dall’impeto irriflesso del sentimento.

Vedete nella Vita Nuova in che modo, caduto in gran debolezza dopo una dolorosa infermitá, andò errando la sua fantasia e come, quasi delirando, potè concepire una delle pili stupende canzoni, di cui possa menar vanto l’Italia.

Tale è Beatrice viva, la donna nella prima trasfigurazione, a cui l’innalza amore e poesia.

Beatrice muore: la morte è una seconda apoteosi.

L’uomo sente il bisogno di dare alle creature della sua mente un esistere materiale, di dar corpo a quei tipi di virtú, di bellezza ch’egli concepisce: gli antichi ne facevano degl’Iddii, i cristiani ne fanno dei santi. La morte è pel cristiano il principio della realtá vera, in cui il reale ed il vero sono una cosa. La terra pel cristiano è una valle di lagrime; la terrestre vita

un breve pellegrinaggio; il corpo la prigione dell’anima, e redenzione la morte. Il corpo in terra è macerato, tormentato con le astinenze e co’ cilizi, e l’anima vi sta chiusa entro, impaziente della sua cattivitá, infino a che nell’ora della morte se ne gitta fuori libera e radiante. La morte del cristiano è perciò una poesia; le ultime immagini del morente sono angioli e suoni e canti di paradiso, e sulla serenitá del volto agonizzante traluce l’immortalitá dello spirito.

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De Sanctis, Dante.