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GIULIO JANIN


Quando i fratelli Schlegel censurarono non senza asprezza i lavori drammatici francesi ed italiani, risposte piovvero da tutte parti. Quella disputa fu un momento importantissimo nella storia della critica; poiché non era contesa di persone, ma di dottrine. Gli Schlegel trovavano in quelli gli stessi difetti, e gl’involgevano nella stessa condanna. Ma eccoti Janin, che s’inginocchia innanzi a Racine, e sputa sul viso ad Alfieri. Alcuni italiani se ne sono commossi, ed hanno risposto insolenza per insolenza ed ironia per ironia. E bene sta. Chi ragiona deve essere confutato; chi ingiuria deve essere rimbeccato; e l’articolo di Janin, quanto povero di dottrina, tanto è tronfio d’ingiurie. Avendo letto dapprima alcune risposte, ho sentito anche io quelle ire; ma avendo letto dipoi l’articolo, non so come, ho sentito cader la mia collera; e invano mi ci sono sforzato; io non posso sdegnarmi con Giulio Janin. Chiami egli pure Alfieri un bandito, un insolente, uno stupido, uno sciocco; moltiplichi a posta sua i suoi «éclairs et foudres» per far qualche intaccatura sull’odiato piedistallo; Giulio Janin non ha virtú di turbarmi. In quella vece, a leggerlo, mi sento nascere una voglia che non posso frenare, una voglia di guardarlo in viso e dimandargli: — Chi sei tu?— È uno studio curioso, che farò senza ira e senza disprezzo, con l’intenzione che se ne cavi qualche utilitá per gli studii critici e con la speranza che, conosciutolo bene, sfumi la collera de’ miei concittadini.