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poesie di sofia sassernò 295

fragili e tenere, a cui fa bisogno, per sopportare la vita, di altri esseri, in cui si appoggino e si espandano. Il suo sguardo erra solitario, e, non trovando niente in cui fermarsi, rimane pensoso: la sua anima si ripiega in sé stessa.

Ciascuno porta seco un mondo interiore, che sente il bisogno di realizzare al di fuori. Tutta la realtá è venuta meno a questa donna; non ha un avvenire innanzi a sé, niente a cui tenda, per cui si affatichi: l’anima rimane oziosa.

                          Allez, amusez vous, la joie a tant de charmes!
Laissez-moi seule ici, seule, toujours,
Il me faut le désert, pour répandre des larmes.
Comme á vous le soleil pour chanter vos amours.

Il me faut le vallon obscure et solitaire,
Pour fuir le bruit d’un monde importun á mes yeux.
La solitude plait á la douleur austère,
Loin des hommes je crois ètre plus près des cieux.
                    

Quando dunque la Sassernò pone mano a lavori, nei quali cerca di rappresentare la vita ne’ suoi diversi aspetti, ella dimentica che a lei è negato il senso del reale.

È lo stesso stato di Giacomo Leopardi; ma con questa differenza. Il Recanatese ebbe tanta possanza d’intelligenza e di sentimento, che potè ricreare in sé quel mondo che gli mancava al di fuori, e dargli una compiuta realtá poetica. La Sassernò non ha neppur tentato questo lavoro interiore; non ha alcuna coscienza distinta del suo essere. La vita è per lei rimasa un a rêve», senza quel ricco contenuto, che ammiriamo nella lirica leopardiana. È rimasa un a rêve», qualche cosa di vago e di musicale, a cui ella non sa dare un nome. Sono sospiri che non diventano sentimenti; suoni che non diventano parole; fuggevoli ombre che non si fissano in immagini. La sua immaginazione si diletta a riposarsi in quelle cose che rispondono meglio a questo stato dell’animo: gli odori, i vapori, l’alitare del zeffiro, il mormorio delle acque; che è, per dir cosí, la musica della natura: materia ancora intangibile, che si presenta a qualcuno