Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. I, 1952 – BEIC 1803461.djvu/40

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vello, per disfogar la sua bile, per mettere su le sue opinioni con un’aria tra il predicatore ed il satirico. Dee egli dire ch’è sera? ed eccoti un’elegia sulla morte delle umane cose, e poi un saluto alla Luna, e, per giunta, un pezzo di storia romana ed un bisticcio sulla cittá eterna. Ti deve dire che Luisa amò Giacomo, perché lo sapeva fuor di misura infelice? E vien fuori una dissertazione sulle qualitá della donna, sul culto di Maria, sulle corti d’amore. Dev’egli descriverti la bellezza di Beatrice? Aspettati un discorso sulla bellezza e sull’amore. Le quali digressioni sono spesso nel fondo vuote generalitá e luoghi comuni, alla cui volgaritá fa un grottesco contrasto la pompa delle frasi ed il lusso delle metafore. E perché il Guerrazzi non sa vivere in mezzo al concreto, e sente il bisogno di uscirne e di correr subito al generale ed all’astratto, tal che innanzi ad una bella ti ragiona di bellezza, innanzi ad ima donna generosa ti parla delle virtú del sacrificio, e se vede il Tevere ti fa un compendio di storia romana? Perché egli non sa obliarsi nelle creature della sua fantasia, non le ama, non si prostende innanzi a loro, come il pittore innanzi al San Girolamo da lui dipinto: e non si sente turbato al loro cospetto di quel misterioso e sacro turbamento, che dicesi «estro». In luogo di dire alla sua creatura: — Sorgi e cammina: — lasciandole tutta la sua libertá di persona, e contentandosi di accompagnarla con l’occhio e di scrivere quello che vede, l’autore dice: — Tu sei la mia fattura; tu mi appartieni; — e la tiene perpetuamente in tutela, intromettendosi ne’ suoi movimenti e mescolando sé nel suo linguaggio e nelle sue passioni, sicché all’udire Beatrice inveire contro la Lupa, e difendersi con tutti i luoghi topici del verisimile e degli aggiunti, per poco non diresti che ti sta innanzi lo stesso avvocato Guerrazzi in gonna. Le sue creature non sono per lui, come pel Tasso, persone vive, che egli vede, a cui parla, ma vane ombre che egli fa e disfá, balocchi e trastulli, che in un momento di buon umore dispone cosí o cosí insino a che ristucco del giuoco te li pianta lá, e fantastica e declama tutto solo per ritornar al giuoco e per ismettere un’altra volta. Questo continuo va e vieni, che nell’Ariosto ha un profondo significato e che i moderni chia-