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ritorna la parola, e poi ritornano quei pianti e quei moti. Onde quel dire interrotto, veemente, quel ripetere, quello svagare, e poi quel ripetere ancora, quei subiti passaggi, quegl’improvvisi ravvicinamenti, quelle immagini pittoresche, quei concetti ingegnosi, quelle ipotesi e quelle conseguenze tanto lontane dalle premesse, quel mescolamento di frasi incoerenti, di apostrofi, d’interiezioni, in che è posto quello che dicesi l’eloquenza dell’affetto. Nell’Angiolo da Padova di Victor Hugo, il tiranno annunzia alla moglie che si apparecchi a morire; qui il sostituto dell’avvocato fiscale legge a Beatrice la sentenza di morte: la situazione è nel fondo la stessa. Le parole della veneziana sono eloquentissime e pietosissime, quantunque ci si senta quella prolissitá sazievole, che è difetto proprio dello scrittore francese, e la fantasia lussureggiante e intemperante di un poeta rimaso giovane a sessant’anni. Nelle parole di Beatrice è notabile la povertá delle immagini e la volgaritá de’ pensieri. — «Oh Dio! Dio! com’è possibile ch’io, cosí giovane, abbia a morire? Nata appena, perché vogliono in modo tanto acerbo cacciarmi via dalla vita? Signore... Signore, qual colpa ho io commesso? La vita? Ma sapete voi la vita a quindici anni che sia?» — Il Guerrazzi esprime i sensi di Beatrice come critico, non come poeta. Il critico ci dice che l’uomo non crede possibile una grande sventura, e si fa piú volte ripetere la notizia, quasi non prestasse fede al suo orecchio. Ma il poeta ponendo in atto la regola, non dirá: — Com’è possibile ch’io debba morire? — parafrasando la regola critica; ma dirá per esempio:

.  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  Come
Dicesti? egli ebbe? non viv’egli ancora?
Non fiere gli occhi suoi lo dolce lome?
rappresentandoci in un fatto concreto il generale della regola. — «La vita? Ma sapete voi la vita a quindici anni che sia?» Dante sapea che sia la vita, quando al Cavalcante sepolto nelle eterne tenebre fa dire:
Non fiere gli occhi suoi lo dolce lome?