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«beatrice cenci» di guerrazzi 43

Venere, alma genitrice della natura; la seconda, furia di ghiaccio, che accecherebbe il genere umano, caccerebbe dal cielo l’occhio del sole, vorrebbe insano anche Dio, perché essa è cieca e folle.» Dunque è bastato l’animo a Guerrazzi di turbare tanta semplicitá co’ «serpenti di Laocoonte», col «sabbato dei pensieri», con la «furia di fuoco» e la «furia di ghiaccio»? In veritá nel vedere tanta bellezza cosí miserabilmente guasta dalla stessa mano, direste quasi che l’autore porti invidia a sé stesso, e che, quando noi alcuna volta ci sentiamo inchinati a disdire il nostro severo giudizio, il vecchio peccatore si diletti di susurrarci all’orecchio: — Io sono sempre quel desso! —

Questi difetti che abbiamo notati nella maniera del Guerrazzi, non procedono da imitazione né da opinioni preconcette, ma dalla qualitá del suo ingegno. Tutte le cose che gli passano dinanzi prendono una faccia ed un colore, si ch’ei ti è facile di distinguer tra mille il suo modo di dettare. Non vi desideri mai splendore e ricchezza di colorito ed in certi momenti felici, abbandonandosi al suo argomento, riesce semplice ed eloquente. Ne’ suoi primi lavori la sua originalitá è congiunta con una certa vivacitá e freschezza, che non è senza attrattive; ora del suo stile egli si è fatta una maniera, una consuetudine, ed è l’imitatore di sé stesso. Si dice che il laborioso scrittore abbia posto mano ad un nuovo romanzo, di nobilissimo argomento; possa riescirvi tanto felicemente da farci dimenticare la Beatrice Cenci!

[Nella rivista «Il Cimento» di Torino, voi. V, pp. 23-36, gennaio i855.]