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«SATANA E LE GRAZIE»

Leggenda di Giovanni Prati.


Se uno spettatore, dopo di aver battuto le mani ad un re di corona in sulla scena, andando dietro al palco scenico, cogliesse quel re di corona, poniamo sia Agamennone, nell’atto che sta giocando a pari o caffo con Egisto, perderebbe issofatto ogni sua illusione, parendogli di vedere colá una parodia ed una caricatura di quello che si fa al cospetto del pubblico. Il simile è di un lettore che cogliesse il poeta nell’atto ch’ei scrive. Un maledetto calamaio che si riversa sullo scrittoio, un demonio di penna che incespica ad ogni tratto, uno stridulo urlo dalla via di qualche venditore, il suono quotidiano della lanterna magica nel cortile, un sigaro che non vuol fumare, un seccatore che non ti vuol lasciare, e tra un verso e l’altro una maledizione, una buona bestemmia, sono spesso gli accessorii prosaici e ridicoli di una seria poesia. Giovanni Prati ha avuto il coraggio eroico di rappresentarci quello che avviene dietro il palco scenico prima che si comparisca in iscena, e di far egli stesso una parodia ed una caricatura della sua poesia. Il che si fa quando la poesia in apparenza seria ha un fondo comico, il quale si svela con magistrale artifizio nella natura prosaica del prologo, che pare un accessorio, ed è esso il lavoro. Sicché, venuto al punto che il poeta manda all’inferno il sigaro, la musa e l’Aracinto, e pone in bocca al sigaro una flebile elegia, io mi sono fermato,