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schopenhauer e leopardi 135


A. Allora Schopenhauer è panteista.

D. Che importa?

A. Bagattella! Hai dimenticato, debbo tornare in Italia. L’idea puoi avventurarla qualche volta, con certe cautele, perché anche i Governi sanno le loro idee; soprattutto se la pronunzii in plurale, volendo ciascun ministro averne parecchie a suo uso. Ma col panteismo non c’è scappatoia.

D. Consolati dunque. Schopenhauer non è panteista, perché il suo mondo rassomiglia piuttosto al diavolo che a Dio. Panteista, dice Arturo, è colui che divinizza il mondo, trasformando l’idea in sostanza o in assoluto, e facendo della ragione il suo organo. L’idea come sostanza opera fatalmente e ragionevolmente...

A. Credevo che il panteismo consistesse nell’ammettere una sostanza unica, immanente, quale si fosse il suo nome, sostanza, idea, o «Wille»; ma poiché Schopenhauer m’assicura il contrario, come dovrò chiamarlo?

D. Chiamalo monista1, e ti tirerai d’impaccio. L’idea dunque, come ti dicevo, opera fatalmente, perché opera ragionevolmente; onde l’ottimismo, quell’andar sempre di bene in meglio secondo leggi immutabili, che dicesi progresso. — Ma se è cosí, dice Schopenhauer, come spiegare il male e l’errore? —

A. Hai messo il dito nella piaga. Bel Dio è codesto mondo, un misto di follia e di sciocchezza e di birberia. L’idea quando l’ha concepito si doveva trovare nell’ospedale dei pazzi.

D. Schopenhauer perciò ha congedato l’idea, e ci ha messo il «Wille», cieco e libero, che fa bene e male, come porta il caso. Il quale, se se ne stesse quieto, sarebbe un rispettabile «Wille»; ma come ha de’ ghiribizzi, gli viene spesso il grillo di uscire dalla sua generalitá e farsi individuo. Questo è il suo peccato: di qui scaturisce il male. È il «principium individuationis», quello che i cattolici chiamano la materia o la carne, che genera il male. Potrebbe dire: — Non voglio vivere— , e



  1. Parerga, II, cap. V.