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134 | saggi critici |
gono, ma la conoscenza è condizionata al volere, come sostiene Schopenhauer1.
A. Capisco, capisco. Finora ti confesso che ridevo tra me e me del «Wille», e dicevo: — È infine una parola, il nome di battesimo della cosa in sé, che Schopenhauer ha aggiunto alla dottrina kantiana — . Ma l’amico è fino, e veggo dove va. Celebriamo i funerali dell’idea.
D. In effetti, il «Wille», operando alla cieca, non è legato da alcuna necessitá come l’idea, o come la sostanza di Spinoza. Assolutamente libero, può starsene con le mani in saccoccia, nella maestá della quiete. Quando sente un prurito, un pizzicore, esce dalla sua immobilitá e genera le idee.
A. E dálli; lui pure con l’idea!
D. Rassicurati. Non è l’idea di Hegel, ma sono le idee di Platone, «species rerum», tipi e generi, fuori ancora dello spazio e del tempo.
A. Sono dunque concetti.
D. Adagio. Le forbici non ti hanno potuto ancora cavar di capo la filosofia. Hai da sapere che per Schopenhauer i concetti sono semplici astrazioni cavate dal mondo fenomenico, come l’essere, la sostanza, la causa, la forza, ecc.; hanno un valore logico, non metafisico; sono un pensato, non un contemplato. Stringi e premi, il concetto non ti può dare che il concetto. E ci volea la sfacciataggine di Hegel per fondare la filosofia sopra i concetti. Le idee al contrario sono il primo prodotto del «Wille»; non generano, anzi sono generate, e sono, per dir cosí, l’abbozzo o l’esemplare del mondo, perfettamente contemplabili2. Cosi in questa teoria trovi raccolte le piú grandi veritá della filosofia, la cosa in sé di Kant, le idee di Platone, e l’unitá o il monismo immanente di Spinoza. Uno è il «Wille», immanente nelle cose, anzi le cose non sono che esso medesimo il «Wille» messo in movimento, la luce è l’apparenza
del «Wille».