Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. II, 1952 – BEIC 1804122.djvu/143

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schopenhauer e leopardi 137

perché la sua natura porta cosí; e in questo senso diciamo che vuol cadere.

A. Ma allora questo «Wille» non lo capisco piú. Se siegue certe leggi nell’ordine fisico, potrebbe seguirle pure nell’ordine morale; e se opera secondo leggi fisse, non è piú «Wille», ma idea, è un «Wille» intelligente.

D. Pensa a Campagna.

A. Qui non ci sente. Credevo questo «Wille» un asino ed un buffone; ora mi parli di leggi.

D. Il «Wille» è libero finché non vuol niente; ma quando vuole qualche cosa...

A. Fermiamoci qui. Un «Wille» che non vuole è una contraddizione ne’ termini; perché l’essenza del «Wille» è il volere.

D. Ma, come libero, può anche volere non volere.

A. È una sottigliezza. Ma lasciamo star questo. Che cosa lo spinge a volere?

D. Un pizzicore interno.

A. È una facezia. Il volere è un desiderio che suppone il bisogno; il bisogno suppone una mancanza; e la mancanza presuppone un’essenza, un essere con certe determinazioni, con una propria natura. Il «Wille» dunque non può essere un primo, perché presuppone l’essere, e quindi l’idea.

D. Pensa a Campagna.

A. Rispondi cosí quando non hai che rispondere.

D. Se m’interrompi sempre, non la finiremo piú. Dicevo che quando vuole qualche cosa, il «Wille» non è piú libero, dovendo adoperare tutti i mezzi che vi conducono: allora è sottoposto a leggi, le quali perciò riguardano il «Wille» fenomenico, non il «Wille» in sé stesso.

A. Ma dunque, volendo qualche cosa, il «Wille» si propone un fine e vi applica i mezzi. E mi vuoi dare a credere che sia un asino, che non adoperi ragionevolmente, che non sia intelligente?

D. Ma questo lo fa inconsapevolmente, a modo di uccello che, volendo sgravarsi delle uova, comincia a raccogliere delle