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schopenhauer e leopardi 147


A. E che colpa ci ho io d’esser nato cosí?

D. La colpa è del «Wille» che, facendo un uomo cattivo, ha avuto un cattivo capriccio.

A. E tocca a me pagarne la pena? Questo mi ricorda quel maestro che, volendo castigare un marchesino, e non osando toccare i magnanimi lombi, sferzava i suoi compagni di scuola.

D. Uno sciocco paragone. Hai dimenticato che tutto è «Wille» e che tu stesso sei «Wille»; onde la pena la porta sempre il «Wille». Ecco un fondamento incrollabile di morale, che non ha trovato né il giudaismo, né il cattolicismo, né il panteismo, né il materialismo: la gloria è tutta e solo di Schopenhauer. Il quale, assicurata la morale, pensa a darti una ricetta anche per la politica. Sta’ attento.

A. Son tutt’orecchi e. Qui sta il nodo. Una filosofia per me è vera o falsa, benedetta o maledetta, secondo che mi accosta o mi discosta da Campagna.

D. Immagina che Campagna ci senta, e vedi se non batterebbe lui prima le mani. Senti prima quello che dice de’ liberali d’oggigiorno. Costoro, nota Schopenhauer1, si chiamano ottimisti, credono che il mondo abbia il suo scopo in sé stesso, e che noi navighiamo diritto verso la felicitá. E perché veggono la terra travagliata da ogni maniera di mali, ne accaggionano i Governi e predicano che, tolti questi, si avrebbe il paradiso in terra, si raggiungerebbe lo scopo del mondo. Il quale scopo del mondo, a tradurlo nel giusto linguaggio, non è che il loro scopo, quello di mangiare e ubbriacarsi, crescere e moltiplicarsi, senza darsi una pena al mondo.

A. Campagna dice che lo ha detto tante volte lui.

D. A intenderli, parlano di umanitá e di progresso; in sostanza pensano al ventre. Immaginano che lo Stato abbia una missione: che sia l’organo, l’istrumento del progresso; il che significa, nel loro linguaggio, dispensiere d’impieghi e di quattrini per loro. Ma ecco la veritá. Gli uomini sono di natura



  1. Parerga und Paralipomena, vol. XI, cap. IX. — Die Welt als Wille und Vorstellung, vol. II, cap. XVII.