Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. II, 1952 – BEIC 1804122.djvu/178

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mi rincorava dapprima : ma riflettevo che le teorie non vogliono dir nulla, ché altro è dire e altro è fare; e quello stesso disdegno m’era sospetto, come indizio di criterii troppo assoluti e troppo intolleranti. Pure dicevo fra me: — Quel disdegno può essere coscienza della propria superioritá, indizio d’uomo salito a tale altezza da veder tutti gli altri a incomparabile distanza da lui — . Tra questi dubbii cacciai da me ogni prevenzione e mi posi alla lettura con l’attenzione che richiede un lavoro di tanta mole, ed uno scrittore di si chiara fama.

Né è stata fatica gettata : perché questa lettura mi è stata occasione a molte osservazioni sul libro e sull’argomento.

Il libro è distinto in ventitré capitoli, che comprendono tutta la storia della nostra letteratura da Ciullo d’Alcamo sino a Cesare Cantú, che chiude la serie. Si va innanzi, secondo che sbucciano gli scrittori, interrompendosi il racconto con alcuni riassunti, che offrono un certo riposo alla mente nel passaggio da un’epoca all’altra. Il racconto procede con rapiditá e chiarezza, in un periodare andante e disinvolto, e con cosí opportuna mescolanza di fatti, aneddoti, giudizii e citazioni, che t’invoglia a leggere e ti tira innanzi con dolce violenza. Si rimprovera agl’italiani, come a’ tedeschi, che non sanno l’arte di fare un libro; quest’arte la possiede Cantú, quasi con la stessa perfezione degli scrittori francesi.

Compiuta la lettura, è difficile ti rimanga nell’animo qualcosa di netto e di chiaro, come ultima impressione ed ultimo risultato. Ti senti girar pel capo una confusa congerie di cose e di persone, e ti par proprio sii uscito da una torre di Babele o da un castello incantato, percorso con diletto, ma senza che te ne rimanga chiara ricordanza. Allora sei costretto a raccoglierti, a meditarvi sopra, a rifare tu il lavoro, se vuoi afferrarne il concetto e darne adeguato giudizio.

Cosi ho fatto, e cosí ho trovato la mia impressione e il mio giudizio.

La prefazione è pomposa. L’autore dá addosso a tutti gli scrittori che lo hanno preceduto, guardando con occhio di compassione fino il laborioso e benemerito Tiraboschi; talché ti fa