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una «storia della letteratura» di cesare cantú i87


L’Ariosto ha creato un mondo, che ha in sé il suo scopo le sue leggi, la sua forma, cosí vivo e originale e vero, come é il mondo omerico o il mondo dantesco. Quel mondo che l’Ariosto ha creato, il critico dee comprenderlo e gustarlo, averne l’intelligenza e il sentimento. Ora, al Cantú manca perfettamente la coscienza del mondo ariostesco; non ha la forza di uccidere il mondo reale in mezzo al quale si trova, e ricreare con l’ajuto dell’ intelligenza e del sentimento quel mondo che il poeta ha creato con la fantasia. Se avesse avuto questa forza, se avesse potuto vivere per poco in mezzo a quel mondo, ne avrebbe afferrato il concetto e lo scopo, e le leggi e le forme, ed avrebbe veduto che quella superficialitá di passioni, quella imperfezione di caratteri, quelle inverosimiglianze, quelle fuggevoli creazioni che appena nate sono uccise da un’ ironia implacabile, quella moralitá equivoca in cui si fonde vizio e virtú, quella logica beffarda in cui si confonde il vero ed il falso, quegli urti di forze materiali gigantesche, che accennano al sublime e finiscono nel ridicolo, quel genio demolitore e onnipotente, che guasta e disfá tutto, e che si chiama il riso, sono ciò che di piú profondo e originale sia uscito da una fantasia poetica, sono non i difetti, ma le virtú dell’Ariosto. Chi vuol comprendere la grandezza del suo poema, non ha che a compararlo col Don Chisciotte, dove lo stesso mondo è riprodotto, ma con perfetta coscienza. Lá lo scopo, che nell’Orlando furioso rimane addentrato e seppellito e inconsapevole creatore di tutto un mondo, diviene visibile ed acquista prosaica chiarezza; lá è pazzia manifesta quello che nell’Ariosto ondeggia fra la serietá e la burla con indecisi contorni, si che il buon Cantú non sa se il poeta scherzi o dica da senno; lá spariscono le ombre, le mezze tinte, le sfumature, le gradazioni, la finezza e la delicatezza di una inconscia ed equivoca ironia, che involvono il mondo ariostesco in quel velo misterioso, in quelle forme ondeggianti, dov’è il maggiore attrattivo della poesia.

Il Cantú non ha neppur sospettato l’esistenza di questo mondo divino, di questa profonda creazione umoristica, nella quale si dissolve il Medio evo e si genera il mondo moderno. Egli