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l’«armando» di giovanni prati | i9i |
Troveremo di fior. Novo è il mio calle; Prega per me che ne veggiam l’approdo Con qualche gaudio della trista Musa. Non è Fausto o Manfredo il mio poema, Insigni forme, che imitar non giova. È un pensier del mio capo... |
Il poeta vi chiude la bocca, lettori. Cessate d’ interrogarlo e seguitelo.
E anch’ io vo’ far lo stesso.
Seguiamo il poeta nel «novo calle».
E dove ci sentiamo rapiti, ammaliati, tiriamo innanzi, leggiamo avidamente : dove ci sentiamo come arenati e raffreddati, sorge quella ostinata interrogazione : — Ma che diamine hai voluto fare? — ; finché, giunti all’ultimo, affannati, fra cielo e terre, e col capo intrigatissimo, lasciamo il libro gridando: — Ma che diavolo ha voluto fare Giovarmi Prati? — .
Se ci fosse tempo, il lettore prenderebbe a leggere il libro una seconda volta, e lo stesso mistero in cui s’avvolge il concetto sarebbe pungolo, terrebbe viva la curiositá. Si sono scritti tanta volumi per afferrare il pensiero di Dante o di Goethe!
Ma i lettori sono oggi distratti in molte faccende, e pensano tutti a fare l’Italia di un modo o di un altro, ed anche un poco a far danari : e chi vuoi che oggi legga piú un libro, o, quando per singolare amore al Prati lo abbia letto, si dia la briga di tornare a leggerlo?
Beati i tempi, quando, non essendo ancora fatta l’Italia, il maggior pensiero degl’ italiani era disputare intorno ad un libro di filosofía o di poesia! Tempi sentimentali, maravigliosamente disposti a comprendere Faust, Manfredi, Amleto, Leopardi! Quel mondo poetico era il nostro; quei sospiri, quei dubbi strazianti, quel grande enigma del mondo, materia di filosofi e di poeti, quel negare e maledire la vita con tanto desiderio e affetto della vita, rispondeva a tutto ciò che di piú intimo e contraddittorio si agitava nella nostra mente.
Ma quel mondo poetico non esiste piú. cadde flagellato a sangue dall’ironia di Heine; cadde quando quella trista gene-