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l’«armando» di giovanni prati 2i3

pardi, perché, se malattia v’è, quella malattia serpeggia anche per le sue ossa, invade la sua anima.

Ohimè! Prati, non ti adirare. Noi siamo tutti malati; in tutti i cuori, anche nel tuo, ci è un po’ d’Armando; e il medico che dee guarire la malattia non appartiene alla nostra generazione.

Forse qualcuno che s’ ignora nelle tante universitá del mondo civile è il predestinato, la Musa nova.

Ti lampeggiò innanzi un «novo calle», e ti sei trovato nel calle vecchio. Quel mondo ti ha imposto le sue forme, ha riempiuta la tua anima delle sue reminiscenze. Tu hai scritta una musica, nella quale a volta a volta si ricorda Donizetti, Rossini, Bellini.

No. In queste libro non trovo quel sentimento vivo e presente della bella natura e della storia, quella coscienza della gioventú, della forza, della fede operosa, quell’entusiasmo e quasi tripudio di una vita rigogliosa, quella fresca onda d’impressioni giovani e pure, che prenunzia le grandi cose e può far dire: — «É un pensier del mio capo». E il mio «calle» è «novo» — .

Il poeta è ancora piú profondamente malato di Armando: perché Armando si sente malato, e il poeta si crede sano.

Il poeta disprezza il secolo in cui vive e che chiama infelice, giudica gli uomini, in mezzo a cui erra solitario, con lo stesso occhio di Armando; questo mondo sano della gioventú e dell’opera lo vede e lo descrive nelle memorie del passato, delle quali risuona la mesta eco ne’ canti de’ pescatori, de’ pastori e de’ gondolieri; il presente innanzi a lui sta come la terra de’ morti, dove grandeggiano, maestose rimembranze, Roma e Venezia, e appena nel suo petto è qualche oscura speranza di una seconda Italia riconciliata con l’antichissima Ausonia, avvenire lontano, « supremi anni », in cui sonerá

                               .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  come una dolce
Nota materna, di Virgilio il canto1.
                         


  1. Armando, pag. 368.