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dire, senza ombra di sospetto. Né troppo ci era da mettersi in guardia verso di un uomo, a dipingere il quale basterá dire questo solo, che le due piú grandi ambizioni della sua vita erano divenire accademico della Crusca e maestro del principe ereditario. Nel primo intento riuscí, e n’ebbe tale compiacenza, che in fronte a’ suoi libri fece aggiungere al proverbiale e simpatico «Basilio Puoti» l’epiteto di «accademico della Crusca»: e fu in quel tempio che copri i suoi capelli bianchi sotto una elegante parrucca, non senza un certo rincrescimento di noi altri, che amavamo tanto quel nostro Basilio e quella veneranda testa bianca. Nell’altro intento falli e n’ebbe tale pena al cuore, che fu non ultima cagione di quella malattia che indi a poco lo condusse alla tomba. Il re dovea venire a far visita al Collegio militare, e parve al Puoti occasione ottima a farsegli presentare. Il «corpo» de’ professori era li per riceverlo; e appresso erano schierate le classi superiori; piú innanzi vedevi un gruppo, dove erano parecchi ufficiali, e il comandante del Collegio, e il principe Filangieri e il marchese Puoti. Le turbolente «classi inferiori» furono raccolte tutte in una stanza, e fu dato a me l’incarico d’intrattenerle. Io, come volendo lor fare un regalo, invece della solita lezione, feci una gran lettura, né giá degli abborriti trecentisti. Lessi Cloridano e Medoro, e la pazzia di Orlando, e la morte di Clorinda, e il duello di Argante e Tancredi, e alcuni brani del Saulle, e la conversione dell’Innominato, con infinito diletto di quegli svelti giovinetti, tutt’orecchi, e con l’anima tutta fuori, nel volto, ne’ gesti, nelle esclamazioni. Era una festa, e corsero cosí quattro o cinque ore, e nessuno se ne accorgeva, e si sarebbe tirato per non so quanto altro tempio, salvo che io venni rauco e non potei piú andare innanzi. Uscito, trovai tutti giá via, e seppi del marchese Puoti turbatissimo, e che il re non gli avea volto la parola. Poco poi, avendo pubblicato in una strenna un volgarizzamento dal greco, dov’era narrato dell’amore di un principe, la casta Corte borbonica fremè pensando che quel fatto avesse potuto cader sotto gli occhi delle principesse reali, e se ne menò molto scalpore, e il Puoti venne in disgrazia: il brav’uomo non se ne sapea consolare.