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l’ultimo de’ puristi 229

abitudini, tutto frizzi ed epigrammi. Nessuno avea scritto mai in latino o in italiano: appena barbare traduzioni dal latino; ciascuno però avea fatto qualche sonetto in vita sua; onde l’abbonamento del marchese per i sonetti. Di storia greca e romana sapevano appena; di storia italiana punto; avevano tradotto, senza intenderli e senza gustarli, Ovidio, Tibullo, Catullo, Properzio, Virgilio, Cicerone, Livio ed anche Tacito; del Tasso e del Metastasio sapevano a mente le ottave e le ariette, esercizio di memoria, non di critica; di scrittori italiani scarsa notizia e nessuno studio, perché non era mai loro entrato in capo che libri scritti in italiano e perciò di comune intelligenza si avessero a studiare. Che un italiano dovesse apprendere l’italiano, dovea sembrar loro un paradosso. Immaginatevi la sorpresa. Sentivano che non tutte le parole italiane sono italiane; che ci sono parole pure ed impure, proprie ed improprie, rozze e gentili, aspre e soavi, nobili e plebee, prosaiche e poetiche, in uso, fuori d’uso, in disuso. E tutto questo si dovea imparare con lo studio degli scrittori classici, che erano gli scrittori del «secol d’oro» e del «dotto Cinquecento» con appena qualcuno del Seicento, secondo i decreti dell’accademia della Crusca. La parola era per il marchese qualche cosa di luccicante come l’oro; soleva dire: «parole di buona o falsa lega», «parole di finissima lega», «oro purissimo», «oro di coppella». Cosí ciascuno si avvezzò a scrivere col dizionario avanti e col suo quaderno di frasi, cacciando via le parole sospette di falsa lega, soprattutto quelle che avevano qualche somiglianza con parole francesi, per tema di cascare in qualche francesismo. Il marchese avea giurato, come Annibale, odio implacabile a’ francesismi o gallicismi, ricordo, diceva, di servitú straniera, e — Bisogna ad ogni patto purgar la lingua di queste brutture, — aggiungeva. Il francesismo non era solo nelle parole, ma ne’ giri, nelle movenze, ne’ trapassi, nell’uso delle particelle, nella formazione del periodo; e dove non si ficcava il francesismo? Questo era il principale nemico, né è a dire quante minute avvertenze ci facea il marchese per addestrarci a scoprirlo e a guardarcene. Ci raccomandava lo studio del Cinonio per impa-