Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. II, 1952 – BEIC 1804122.djvu/257

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francesca da rimini 25i

un rimprovero, non un rammarico, non disdegni, non movimenti patetici. Quando pur talora l’impressione dee uscir fuori, si mostra in una forma tranquilla e impersonale, come:

                               .     .     .     .     .     nessun maggior dolore,
Che ricordarsi del tempo felice
Nella miseria.
                         
Le impressioni restano chiuse e involute nelle cose, e con tanta più potenza se ne sviluppano e risuonano lungamente nell’anima del lettore.

Tale è Francesca; e chi è Paolo? Non l’uomo, il maschile che faccia antitesi e costituisca un dualismo. Francesca empie di sé tutta la scena. Paolo è l’espressione muta di Francesca; la corda che freme quello che la parola parla; il gesto che accompagna la voce; l’uno parla, l’altro piange; il pianto dell’uno è la parola dell’altro; sono due colombe portate dallo stesso volere, tal che al primo udirli non sai quale parli e quale taccia, ed in tanta simiglianza ti par quasi che la stessa voce parta da tutti e due, e puoi dire con Dante:

                          Queste parole da lor ci fur porte,
Da che io intesi quell’anime offense
                         

E perché il poeta ha resi indivisibili questi due cuori? perché di due ha fatto uno? perché, morta la speranza, vive ancora l’amore?

— Per una sublime inconseguenza di Dante, — risponde il mio amico Dall’Ongaro, e si cava d’impaccio. E il Foscolo narra di non so quali pietosi riguardi del poeta verso la famiglia di Francesca. E il Ginguené aggiunge che quei due «che insieme vanno» non sono propriamente dannati; che il loro non fu peccato, ma lieve fallo, uccisi prima che il desiderio divenisse azione; che Dante ha messo il peccato nell’ombra, e dato rilievo alle buone e amabili qualitá di Francesca. Cosí i migliori ingegni sofisticano quando cercano la spiegazione ne’ particolari, e non nell’insieme.