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francesca da rimini | 253 |
Il peccato è il piú alto «pathos» della tragedia, perché questa contraddizione dell’amore non è posta fuori, ma nell’anima stessa degli amanti. L’amore senza contraddizione è prosa arcadica, poesia pastorale, è Dafni e Cloe. Quando la contraddizione esce da ostacoli accidentali, come esser plebeo o povero, divisioni di famiglie, odii politici, gli amanti hanno coscienza che la ragione è dal canto loro, e combattono contro ostacoli posti fuori della loro coscienza. Ma il peccato è un infinito al pari dell’amore, perché amendue coesistono nell’anima e non si possono distrugger l’un l’altro: distruggetemi la coscienza del peccato e mi avete annientata Francesca da Rimini. In lei è lotta senza termine, né può dire: — Io amo — , senza che una voce non le risponda: — È peccato — ; né può questa voce parlarle, senza che nel costante pensiero non le si affacci la male allontanata immagine. E che avviene allora? innanzi agli altri si studiano le parole e gli sguardi, si vorrebbe celare non che ad altri a sé stesso il mistero del cuore; ma nel silenzio della stanza, nel segreto dell’anima si accarezza quell’immagine, e si beve il dolce di quei pensieri, e si nutrono quei desiderii, insino a che d’improvviso e inconsapevole non si giunga al «doloroso passo», al momento dell’oblio e della colpa:
Quanti dolci pensier, quanto disio Menò costoro al doloroso passo! |
Questo è il fondo tragico della storia, la divina tragedia rimasta sulle labbra di Francesca, e che il «rêve» di Dante, immaginato in modo cosí commovente, cava fuori e mette in azione. E qual valore nelle parole di Francesca ha mai questa storia se ne togli il peccato?
Soli eravamo e senza alcun sospetto. |
Chi mai fa quest’osservazione se non l’amore colpevole? Leggono una storia d’amore e non osano di guardarsi, e temono che i loro sguardi tradiscano quello che l’uno sa dell’altro e