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338 saggi critici

Machiavelli non vide che le istituzioni politiche non sono cause, ma sono effetti. Bisogna far prima l’uomo romano, e poi sperarne le istituzioni. Egli riformava bensí l’uomo, ma lo riformava per l’avvenire. L’altra utopia del Machiavelli era nel credere che quel suo mondo ideale fosse l’atto di vita della nazione; invece, esso era il testamento d’uno spirito solitario.

La nostra educazione intellettuale ha essa la tempra sognata dal Machiavelli? Fu giá tempo in cui la lode potette giovare all’Italia per ritrarla dall’avvilimento ed infonderle coraggio ad operare; oggi quella lode sarebbe ignobile.

L’Italia, bisogna dirlo con dolore, è il paese meno moderno di tutta l’Europa. Dove sta l’uomo del Machiavelli? Non vive piuttosto dentro di noi un avanzo di quell’uomo dei tempi suoi, ch’egli mirò a distruggere? Noi abbiamo ancora qualche cosa dell’educazione monastica! E, per parlar di studii e di pensiero, dov’è presso di noi quel laboratorio, in cui discepoli e maestri, uniti insieme, producono la scienza?

In quanto a me, io sento giá di essere un uomo del passato; ai giovani però, da cui la nazione tutto si aspetta, debbo dire che noi, uomini della generazione precedente, abbiamo data l’unitá e la libertá della nazione: ma guardatevi dal credere che questo sia tutto il rinnovamento! Esse sono i due istrumenti per conseguirlo, i quali se debbono rimanere irruginiti nelle vostre mani, meglio è gittarli via fin da ora.

Io vi ripeto quello che un di diceva Machiavelli ai Medici: — Il rimanente lo dovete far voi! — . Intanto, non posso non esprimervi la mia gratitudine per la benevolenza, colla quale costantemente mi avete seguito. Oggi, formata tra noi una specie di parentela intellettuale, che spero rimanga superiore alle miserie di altre vicende, io potrò dirvi, col motto affettuoso di questo popolo, non addio, ma a rivederci!

[Conferenze tenute a Napoli nella Gran Sala del Capitolo dell’ex convento di S. Domenico Maggiore, i giorni 23, 27 e 30 maggio, 3 e 6 giugno i869.]