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«cours familier de littérature» par lamartine 69

zione. Anche oggi non posso montare o scender di cattedra, che il cuore non mi batta forte e non mi tremino le membra, e talora ho sentita la mia giovinezza innanzi a taluni de’ miei uditori, vecchi di venti anni. Ma adagio; la penna mi porta tropp’oltre, ed eccomi giá in sul dire i fatti miei al pubblico, come Lamartine, senza avere la stessa scusa. Molti gliene fanno rimprovero, e lui giá degno di gloria reputano vano. Certo, amo meglio il disdegno del Leopardi e la modestia del Manzoni; ma quelli che accusano di vanitá la sua ostinazione al lavoro, farebbero bene d’imitarlo; la vanitá, che impone tanti sacrifizi, nobilita sé stessa e merita un piú degno nome. Fate quello che lui, e parlate pure di voi: sará un peccato veniale; ma io ho inteso a dire che i piú sciocchi sono i meno indulgenti.

Dicevo dunque che lo scopo propostosi dal Lamartine è eccellente, ma che non mi pare sia stato conseguito. Voglio ora raccogliermi e meditare un po’ per rendermi conto di questa impressione.

Quando il poeta compone, ha innanzi un fantasma che lo tira fuori dal suo stato ordinario e prosaico, gli agita la fantasia, gli scalda il cuore. Non crediate però ch’egli gitti sulla carta tutta intera la sua visione e tutte le sue impressioni. La sua penna riposa, ma non il suo cervello; rimane agitato, pensoso, la poesia si continua nella sua testa dove fluttuano molte altre immagini, parte proprie di essa visione, parte estranee e affatto personali. Il poeta, concedetemi il paragone, è un’eco armoniosa, che ripete di una parola solo alcune sillabe, ma un’eco animata e dotata di coscienza, che sente e vede piú di quello che ti dá il suo suono. Il critico raccoglie quelle poche sillabe, ed indovina la parola tutta intera. Pone le gradazioni ed i passaggi; coglie le idee intermedie ed accessorie; trova i sentimenti da cui sgorga quell’azione, il pensiero che determina quel gesto, l’immagine che produce que’ palpiti; spinge il suo sguardo nelle parti interiori e invisibili di quel mondo, di cui il poeta ti dá il velo corporeo. Il critico è simile all’attore; entrambi non riproducono semplicemente il mondo poetico, ma lo integrano, empiono le lacune. Il dramma ti dá la parola, ma non il gesto,