Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. III, 1974 – BEIC 1804859.djvu/117

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ugo foscolo iii


la tisi fu una poesia; ciascuno si sentia consumare del mal di Jacopo. In quella reazione cosí generale, mancata ogni libertá di pensiero e di parola, lo spirito ripiegato e chiuso in sé fu costretto a vivere nel vuoto, abbracciato col suo ideale. Ci sentivamo morire di desiderii rientrati, che quasi per dispetto ingrandivano e si allontanavano ancora piú dal reale, e le illusioni menavano a’ disinganni, e da’ disinganni pullulavano le illusioni. In quella vuota idealitá, cosí energica e cosí impotente, incontrammo Foscolo, e fu il nostro uomo, e il suo libro fu il nostro libro. Come Venezia cadde, cosí cadde Italia, cosí cadde il secolo decimottavo. Quel libro ci s’ingradiva, era la nostra voce, vi aggiungevamo i nostri disinganni e le nostre impressioni. Foscolo fu come il nostro compagno di scuola, infelice al pari di noi, e che traduceva cosí bene i suoi e i nostri segreti: con tanto ingegno lo sentivamo cosí vicino a noi, cosí partecipe delle nostre debolezze e de’ nostri difetti. Noi ci contemplavamo in Foscolo, e gli ergemmo una statua nella nostra coscienza. Quella nuova generazione, cosí malata di desiderio, di misticismo, d’idealismo, siamo noi stessi, fatti ora uomini, che non malediciamo piú a quella realtá, la quale siamo giunti a conquistare e a possedere. Volgendo lo sguardo indietro sulla nostra tribolata giovanezza, vi troviamo il compagno delle nostre illusioni e delle nostre pene, e lo invitiamo a tornare anche lui nella sua patria di elezione, che nelle ultime ore della vita ha tanto maledetta, perché l’ha tanto amata. Possano i nostri figli contemplare in questa nuova statua che innalziamo un’ultima voce del passato, l’ultimo cavaliere errante de’ tempi moderni, e cercare la salute nella intelligenza della vita, nello studio del reale, attingendo nella scienza quel senso della misura, che è il vero fecondatore dell’idea, il grande produttore!

[Nella «Nuova Antologia», giugno i87i.]