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(Il Professore sale la cattedra fra le acclamazioni di un eletto e numeroso uditorio. E cosí incomincia:)
Io vi ringrazio, o Signori, degli applausi coi quali mi avete ricevuto; vuol dire che ci siamo giá capiti: gli applausi vanno alla mia intenzione. Voi avete sentito che visitando Palermo il mio pensiero è stato di far cosa cara a Palermo.
Come un uomo bene educato che dee visitare per la prima volta un distinto signore, studia i suoi libri, la sua vita, perché, presentandosi a lui, possa mostrare giá di apprezzarlo e di conoscerlo, cosí io, dovendomi presentare a questo gran signorone che si chiama Palermo, ho voluto innanzi studiare la sua lingua, la sua letteratura, il suo Beniamino, il suo poeta favorito, Giovanni Meli; ed è certamente a questa intenzione che si rivolgono i vostri applausi, ed è in questo modo che io li accetto e ve ne ringrazio. (Benissimo)
Ora senz’altro io entro in materia.
Giovanni Meli nacque nel 1740, mori nel 1815; vale a dire, la sua vita appartiene a quella gloriosa seconda metá del secolo decimottavo, che fu etá di rinnovamento in tutta Europa, e fu in Germania l’etá di Lessing e di Kant, che doveva generare Goethe e Schiller, e fu in Inghilterra l’etá di Locke, e poi di David Hume, e poi di Adamo Smith, e fu in Francia l’etá di Voltaire e di Rousseau e della Enciclopledia, e in Italia fu l’etá di Beccaria e Filangieri, e letterariamente di Alfieri, di