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2i4 | saggi critici |
Qualsivoglia forma piú a lei somigliante non è lei:
e s’anco pari alcuna Ti fosse al volto, agli atti, alla favella, Saria cosí conforme assai men bella. |
Pure il giovane ha fede di trovarla in terra, e crede di averla trovata in quella donna che gli fa battere il cuore e scolorile il viso, perché ciò che vagheggia e ama in quella, è appunto lei, la sua idea. La mutola parla, l’invisibile si vede, i contorni si fissano, quella donna lí è l’ideale, e il giovane vi si appaga e non cerca altro. Questo miracolo operato dalla gioventú toghe il contrasto e la fusione grottesca tra divino e umano, introduce l’ideale nella vita, lo fa umano, lo rende partecipe delle gioie e de’ dolori umani.
Se il Leopardi fosse giovane e concepisse come giovane, questo miracolo avrebbe rappresentato. Avremmo visto la statua sotto le braccia supplichevoli di Pigmalione palpitare e rendere il bacio d’amore.
Ma la gioventú è ita, e non è che una memoria, divenuta essa medesima un ideale muto e sparente. E non è maraviglia che a quella immagine Leopardi figuri la donna. La sua Silvia e la sua Nerina non è che quello ideale divino sotto apparenza terrena.
La sua donna è innanzi tutto una memoria, come la sua gioventú. È la giovinetta, «nel fior degli anni estinta, quand’è il viver piú dolce», rimasta viva nella memoria dell’amante.
La memoria è la regina delle muse. Essa è la grande maga trasformatrice che scorpora e idealizza la vita. Della donna amata a poco a poco non rimane nell’immaginazione che la parte piú spirituale, inviolabile al tatto, il sorriso, lo sguardo, il suono della voce, la fisonomia, il sentimento. Ti è innanzi il fantasma di quello che un giorno fu corpo, e simile in tutto al primo fantasma evocato dalla fantasia giovanile. Se non che questo è il fantasma del desiderio, e quello è il fantasma della memoria. L’uno è accompagnato dalla fede che esso dee ap-