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la nerina di giacomo leopardi | 2i5 |
parire, dee vivere, e il giovane si sforza di dargli un corpo, ci mette dentro le sue aspirazioni, l’impazienza del possesso, in quell’ideale pregusta il reale. L’altro nella piú splendida apparizione è accompagnato da questo pensiero che non è piú, che dá a’ piú smaglianti colori della vita il sentimento del muto e dello sparente, del destinato a morire. L’uno è abbellito da tutte le illusioni, l’altro è colpito dal disinganno. La tendenza dell’imo è a incorporare, la tendenza dell’altro è a scorporare.
Silvia è una rimembranza. La vita che i giovani si fingono eterna, è per lei vita mortale, e non fu che un giorno;
Silvia, rammenti ancora Quel giorno della tua vita mortale. Quando beltá splendea Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, E tu, lieta e pensosa, il limitare Di gioventú salivi? |
Quei verbi in tempio passato, «splendea», «salivi», gittano il gelo della morte in quella bella vita giovanile. È la vita nel riso della sua espansione, ne’ suoi lieti sogni, nel suo vago avvenire. Gli occhi sono ancora fuggitivi, la voce è un canto, il riso che è negli occhi, è in tutta la natura, è nel suo avvenire. Un’eco di questa vita gioiosa giunge al giovine, e gli fa battere il core, e gli illumina l’avvenire.
Che speranze, che cori, o Silvia mia, Quale allor ci apparta La vita umana e il fato! |
«Allor!» Quell’allor fa giá penetrare nell’illusione il disinganno, in quell’apparire lo sparire. Quei lieti sogni, quel vago avvenire, quei pensieri soavi erano illusioni, inganni della natura. La veritá fu lo sparire, la morte. Ella sparve e non vide la sua giovanezza. Anche a lui negarono i fati la giovanezza. E che cosa rimase di cotanta speme?
La fredda morte ed una tomba ignuda. |