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2i6 saggi critici


Questa non fu solo la sorte di Silvia e di Leopardi, è piú o meno la sorte della stirpe umana. È la tragedia della vita. La vita è un’apparenza, un sogno. Il vero è la morte; e la morte è il nulla. Nella catastrofe de’ due giovani si sente la catastrofe universale. Di che si lamenta il giovine?

                                    Questa è la sorte delle umane genti.                

Questo il vero. E non è possibile che vi resista l’intelletto. Ma vi resiste il cuore. E in questa ribellione del cuore è la poesia. Cosa ci fa il vero? Sappiamo pur troppo che tutto è caduco, e che in fondo alla vita è la tomba. Pure, finché il cuore è giovine, vogliamo sentire, immaginare, godere, e ci attacchiamo alla vita come fosse eterna. Questa è la poesia di Anacreonte, giovine co’ capelli bianchi:

                                    Questa vita è troppo labile,
Sempre in pianto e sempre in pene,
Se dell’uva il sangue amabile
     Non rinfranca ognor le vene.
               

Un po’ di questo liquore generoso è nella circolazione della vita, e ce la rende bellezza, amore e poesia.

Ma il povero Leopardi si sente giá vecchio ne’ suoi giovani anni. La vita a lui inetto a goderla è un desiderio senza speranza. Nella mente la speranza è morta. Nel cuore è rimasto il desiderio. Il cuore è vivo ancora, e ha virtú di evocare l’ombra della prima giovinezza, i dolci sogni del desiderio colorito dalla speranza, accompagnata da lacrime, perché oggi la speranza è morta:

                                              Mia lacrimata speme!                

Onde nasce l’interna scissura della sua forma poetica, il carattere drammatico della sua lirica, riso e lacrima, vita e morte. Ma questa vita evocata come memoria non è vita piena