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302 saggi critici


Era un galantuomo, e vuol dire ch’era uomo sincero. La sinceritá è il pudore dell’uomo, come il pudore è la sincerità della donna. Sincera è la sua parola e il suo sentire e il suo pensiero; e dietro non c’è fine e non c’è interesse che si vergogni di comparire. Quest’assenza compiuta di fini e interessi personali, questa puritá lo innalza fra’ contemporanei. Vedete le Memorie del Montanelli. Ivi è una pretensione, una vanitá che vuole gonfiare la persona, e riesce al fine opposto. Settembrini non si accorge neppure di esser grande e di esser buono. Questo gli par cosa naturale. Ed era davvero in lui natura. La sua modestia non è virtú, è innocenza, una inconsapevolezza spensierata del suo valore. Se gli stranieri sparlano di Ferdinando secondo, si sente pungere. Se liberali impazienti mettono innanzi Murat, se ne sdegna. Se vogliono domandi grazia al re, sorride. Il suo Raffaele, la sua Giulia, la sua compagna lo inteneriscono, solo a nominarli. Non domandate i perché. Non li dice, perché non li sa, e non ci pensa, e gli pare che non potea essere che cosí, e che tutti farebbero a quel modo.

Di qui nasce l’infinita semplicitá e spontaneitá del suo dire, quasi fanciullesca ingenuitá. Rara è l’analisi. Piglia le cose cosí come gli si porgono a prima guardatura e a prima impressione, e le rende intere, con quel calore, e con quella luce che gli viene dall’anima. Ed è soddisfatto, non ci torna piú, non ci si ferma, non analizza, non accarezza, non ricama. Di questa maniera semplice e rapida era perduta la memoria. Settembrini la trova senza cercarla, e non la trova già nell’«aureo» Trecento, e non in questo o quello scrittore; la trova nella sua natura, nel suo modo di sentire e di concepire. Vero è che lo studio de’ trecentisti gli ha dato il materiale tecnico. Ma quella forma lí non è imitazione, non è scuola, è lui. E non si scrive a quel modo se non da uomo tutto impressione e non uso a riflettersi, a pensarvi su. Questo è quel fanciullesco e quasi primitivo, così caro ne’ trecentisti, e che in lui è la grazia della sua natura. Scarsa era la seconda vista, la riflessione, e usava chiamare trivella quell’approfondire e analizzare le cose; di che non sentiva bisogno. Suppliva con alcune qualitá geniali, concesse a pochi: