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le «ricordanze» del settembrini | 309 |
Si disputava sulla formola del giuramento, e quel capo scarico diceva tra sé:
Si verrá al partito più semplice, non giurare, e finiranno tutte queste voci.
Luigi, con quella fede e con quel buon senso, non fu che spettatore. Ma quale spettatore! come narra, come dipinge bene cose e uomini, con quale magia ci rimena avanti vivi que’ tempi! e come giuste, come gagliarde sono le impressioni! Sentite questa:
Tutti i ministri erano oppressi dalle petulanti e superbe dimande di uomini che parevano ubbriachi, e volevano essere uditi per forza, e credevano la libertá un banchetto a cui ciascuno dovesse sedere e farsi una scorpacciata. Salivano tutte le scale, strepitavano in tutte le case; era un’anarchia brutta.
Intanto la plebe diceva: — E se non si lavora e noi stiamo digiuni, che libertà è questa? Prima il re era uno e mangiava per uno; ora son mille e mangiano per mille. Bisogna che pensiamo ai fatti nostri, anche noi — .
Stavano cagneschi contro tutti i liberali; ma come conoscerli? dal vestito, e li chiamarono i nazionali.
Il «colore» era diventato il passaporto agli uffici. — Voi parlate sempre di colore, e non mai di sapore, — gridava Settembrini. E quando sentí la prima volta dalla plebe gridare: — Viva l’Italia!, — dice:
Quella parola «Italia», che prima era profferita da pochi ed in segreto, quella parola sentita da pochissimi, e che era stata l’ul-